Omelia (06-10-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
La concessione non è la norma

L'avventura di Gesù si sposta adesso in Giudea, con un argomento scaturito dalla spacconeria degli avversari farisei, che come al solito cercano di costruire tranelli per coglierlo il errore: è giusto che un uomo ripudi la propria donna? Marco si mantiene ben lungi dalle disquisizioni teologiche che vengono accennate in Matteo. Questi infatti riferisce che la domanda posta a Gesù imponga che questi si esprima anche su questioni dottrinali: "E' lecito a un uomo ripudiare la propria donna per qualsiasi motivo"? Nel mondo giudaico infatti era già scontato che l'uomo potesse ripudiare la propria consorte. La donna era considerata come una proprietà dell'uomo e l'uguaglianza nei diritti e nelle opportunità era pressocché inesistente e pertanto il coniuge uomo poteva ripudiare la propria consorte.
Del resto la legge di Mosè consentiva che alla moglie in certi casi potesse esserle consegnato un atto di ripudio: "Quando uno prende una donna e la sposa, se poi avviene che essa non gli è più gradita perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio, glielo dia in mano e la mandi via da casa sua.."(Dt 24, 1 - 2). La questione che si poneva in Matteo era relativa alla motivazione per cui tale ripudio era da considerarsi legittimo: occorre che la donna sia colpevole di adulterio o di altro misfatto? Oppure è sufficiente che non trovi grazia agli occhi del marito?
Si trattava evidentemente di un sottile tranello nel quale Gesù doveva cadere. In qualsiasi modo avesse risposto, sarebbe stato colpevolizzato, da un partito o dall'altro. Fortunatamente Gesù individua la ragione di fraintendimenti secolari e di minuziosi abusi della vera legge di Dio: l'ottusità e la durezza di cuore degli uomini. Ai tempi di Mosè il divorzio era diventato infatti comune ricorrenza non soltanto in Israele, ma anche presso altri popoli limitrofi. Mosè, considerando appunto l'ostinazione e la perversità dei suoi connazionali, non lo aveva abolito ma aveva cercato di limitarlo il più possibile. Non poteva l'uomo ripudiare la sua consorte "per qualsiasi motivo", ma solo quando avesse trovato in lei "qualcosa di vergognoso". Questo concetto di "vergognoso" era interpretato da una scuola teologica (Hillel) come "qualsiasi motivo"; l'altra posizione (Shammai) lo interpretava invece come adulterio o rapporto sessuale avvenuto prima delle nozze o altre defezioni. Gesù, tu da he parte stai? Con quella concessione speciale Mosè non intendeva certo abusare della Scrittura e del comandamento divino, ma solamente pacificare determinate situazioni compromesse. Essa inoltre non comprometteva l'illiceità del ripudio; la concessione non è infatti una norma innovativa, ma una "extrema ratio".
La Scrittura, nel suo vero senso originario in materia, non aveva mai contemplato la possibilità del ripudio o del divorzio né delle nuove nozze. In parecchi riferimenti di Osea, Cantico dei Cantici, Isaia e tanti altri, la fedeltà coniugale continua è il simbolo dell'alleanza di Dio con il suo popolo, nella quale Dio è considerato lo sposo e il popolo come la donna che egli ha sposato. Fedeltà e dedizione piena sono alla base del rapporto matrimoniale così simboleggiato.
Nel libro della Genesi si definisce l'uomo come armonia fra due sessi: maschio e femmina. L'uomo e la donna, congiunti insieme nel vincolo sponsale, sono chiamati a diventare "una sola carne"(Gen 2, 24), un unico progetto di vita, che non può avere deroghe né eccezioni. Di conseguenza, l'uomo non osi separare ciò che Dio ha congiunto." Nell'ottica di Gesù, l'uomo e la donna costituiscono una famiglia unica e indivisibile che è il riflesso dell'amore eterno di Dio nei confronti del suo popolo, uno speculare riproporsi della vita trinitaria nella vita di coppa. E con questi concetti il Matrimonio, già benedetto da Dio, è elevato da Cristo a Sacramento. E' impensabile sia che la donna rinneghi il suo uomo, sia che questi rinneghi la sua consorte. Nell'uno e nell'altro caso vi è sempre possibilità di adulterio. Uomo e donna vincolati nell'unione sponsale vivono la comunione e la pari dignità, la parità dei diritti e comunione di intenti. Unica eccezione che possa legittimare il divorzio e le nuove nozze è "l'unione illegittima", cioè di una situazione di irregolarità intrinseca che rende già il matrimonio nullo in partenza. La ragione dell'indissolubilità è quella dell'amore: se la scelta decisionale delle nozze è motivata da finalità interessate o di altra natura alienante, essa si trasformerà in una sorta di condanna e di continua sofferenza per ambedue. Se ci si sceglie l'un l'altro per convenienza o per pura passionalità effimera, non si potrà che procedere a tentoni e ci si sopporterà solamente a vicenda e il matrimonio si identificherà con una perenne autocondanna. Se invece ci si vorrà unire con la sola finalità dell'amore sincero e disinteressato l'uno per l'altra e se questo amore scaturirà dalla fede unica e motivante nel vero Dio che ama ciascuno fin dall'eternità, il Matrimonio sarà un "ergastolo felice", una piacevole condizione dalla quale non ci si augurerebbe mai di uscire. Amarsi l'un l'altra vuol dire infatti vivere costantemente con fiducia e risolutivamente anche la condizione della sfida, della crisi e le immancabili difficoltà della vita quotidiana. L'amore, quando è sincero e radicato nel profondo, trova sempre le soluzioni a tutte le avversità e alle magagne che caratterizzano il vissuto familiare; fornisce le motivazioni di fondo per cui in ogni caso ci si deve preferire l'un l'altro ad ogni altra cosa.
Nell'amore sponsale si trova quella completezza che ci permette di qualificare sempre al meglio la nostra esistenza.