Omelia (13-10-2024)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Quintino Venneri

Ci sono brani noti ed altri più sconosciuti.
Quello di oggi è un testo pregato, meditato, raccontato, interpretato da tantissimi. È come un meraviglioso poliedro: l'unica luce riverbera in modi differenti e complementari attraverso le parole e i gesti narrati da Marco.
La domanda che apre non è banale: forse i termini che usa quel tale anonimo non sono propriamente i nostri ma, al fondo, l'interrogativo è comune a tutti. Come avere una vita piena? Dove trovare il sapore nelle cose che facciamo, nelle relazioni che costruiamo, dentro le mille situazioni in cui si dipana l'esistenza di ciascuno? Dove scorgere il senso di tutto anche quando tutto sembra negare che ci sia un senso?
Egli fa una domanda. Ma è egli stesso una domanda.
Una domanda certamente spirituale, incentrata sulla vita eterna. Ma, contemporaneamente, è una domanda umana, umanissima: il tale è senza nome e questo, nella bibbia, è un fatto molto raro. Cerca la vita ma cerca il suo nome, il proprio volto, la propria identità. Ogni vera ricerca è allo stesso tempo umana e spirituale.
 L'incipit della risposta, poi sembra sussurrare il testo, è già contenuto nella domanda. Il senso delle cose non puoi dartelo da solo; non esce dalle tue mani, dai tuoi soli ragionamenti; per quanto possiamo sforzarci, vedremo sempre metà del quadro. Ciò che da compimento alla tua vita, non viene da te. Va cercato, desiderato. Finché non ti mancherà come l'acqua nel deserto, non potrà mai arrivare. Va cercato. Va chiesto. La domanda - quella fatta di gemiti interiori, forse inesprimibili, a volte inenarrabili - va gridata, consegnata. Nessuna risposta può arrivare finché non gridi le tue domande verso l'alto, verso l'altro, verso l'Alto.
E infatti la risposta arriva.
Il Maestro offre un percorso.
Gesù ricorda al tale anonimo i comandamenti, le parole di Dio consegnate alla fede di Israele. Non sono leggi ma rivelazioni. È come aprire una porta antica - all'apparenza rovinata e chiusa per tanto tempo - e trovare una bellezza mai vista prima. Non sono norme ma suggerimenti: vuoi avere la vita? Metti ordine nella tua vita. Vuoi trovare il senso delle cose? Chiediti come stai camminando, dove stai andando, quali sono le priorità e le urgenze dei tuoi giorni. C'è una saggezza nel creato che se la scopri, la vedi e la percorri ti conduce alla vita.
Fai tu questo? - lo incalza Gesù.
E la risposta stupisce tanto quanto la domanda. Sì, lo faccio - viene affermato. Anzi, lo faccio da sempre, fin da quando sono giovane.
E ancora una volta il Maestro spariglia le carte in tavole, spiazza e mostra un'altra prospettiva. Contro il rischio di accarezzarsi nelle consapevolezze acquisite, indica un altro orizzonte. E rivela al suo interlocutore che gli manca qualcosa. Una cosa sola. Lì troverà l'eternità.
Già. L'eternità la trovi in ciò che ti manca.
In un tempo che sembra sottolineare solo l'esigenza delle conferme e degli incoraggiamenti, il Vangelo spiazza nuovamente e indica altro. All'anonimo ricercatore viene suggerito che l'avvio della sua ricerca non può che partire da una mancanza, da un vuoto.
Quasi a dire: chi è troppo pieno, non partirà mai.
Anche il vuoto è un segno vocazionale, è un segno della forma da dare alla tua vita. È esso stesso una domanda che ti viene rivolta. Cosa ti manca?
Qui la risposta non è però data dalle parole ma da una scelta: l'anonimo interlocutore se ne va con il volto scuro e rattristato. Gli era stato suggerito: lascia a cui ti sei aggrappato pensando di trovare lì una risposta; lascia il conosciuto per lo sconosciuto; lascia casa per l'orizzonte sconfinato; lascia ciò che ti rasserena e che invece ti sta anestetizzando.
Ma non ci riesce. Almeno in quel momento.
Non è mai facile abbandonare le proprie convinzioni, i propri idoli interiori, la roccia su cui pensiamo di stare saldi.
E il racconto potrebbe chiudersi qui tranquillamente. Con l'amaro in bocca ma sarebbe comunque una conclusione.
Ma Gesù spiazza ancora. E mentre tutti erano abituati a pensare che la ricchezza fosse il segno della benedizione di Dio, Lui, il Figlio di Dio, evidenzia che difficilmente un ricco potrà entrare nel Regno di Dio.
Scandalo! Sul volto e nel cuore dei discepoli sale una dose di stupore, di meraviglia, di disorientamento. Eravamo abituati a pensare altro: cosa vuoi dire con le tue affermazioni? Spiegati meglio! - sembra suggerire il testo.
Loro non che fossero particolarmente ricchi. E anche il tenore delle prime comunità cristiane non era particolarmente elevato. Come comprendere le parole di Gesù? Di quale ricchezza si parla?
C'è - in verità - una ricchezza che appartiene a tutti, che tutti attraversa ed accomuna. Ed è la nostra vita, la nostra identità, la nostra storia. È il tesoro più prezioso che abbiamo: è ciò che - più o meno consapevolmente - tutti desideriamo custodire, accrescere, a cui dedichiamo il tempo, i nostri sforzi e le nostre scelte.
Ma se non riusciamo a trasformare ciò che siamo in un dono per gli altri, se la nostra vita non diventa pane buono messo nelle mani altrui, ecco che la ricchezza che siamo diventa una prigione, un peso, una zavorra.
Donati. E la ricchezza che sei sarà moltiplicata.
Trattieniti. E la ricchezza che sei sarà la tua zavorra.