Omelia (20-10-2024) |
diac. Vito Calella |
Le tre regole della diaconia Gesù aveva appena comunicato il terzo annuncio della sua passione, morte e risurrezione: «Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà"» (Mc 10,32-34). Per rompere quel clima di paura tra i dodici apostoli, due di loro, «Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo» chiesero esplicitamente a Gesù, davanti agli altri, che ciascuno di loro «si sedesse, uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra, quando Gesù starebbe nella gloria» (cfr. Mc 10,37). Ciò suscitò l'indignazione degli altri dieci apostoli, accrescendo il disagio del gruppo e suscitando tra loro sentimenti umani ed egoistici di rivalità e di gelosia (cfr Mc 10,41). I desideri di vanagloria e di competizione, nel lavoro di equipe, sono demoni dei nostri sentimenti egoistici, che sembrano dividere e spezzare l'unità nella carità tra di noi, discepoli missionari di nostro Signore Gesù Cristo. L'apostolo Paolo, scrivendo ai Filippesi, sognava una comunità cristiana unita nella carità, dove i suoi membri collaborano nel rispetto reciproco; ma metteva in guardia dal prevalere dell'ambizione e della vanagloria nei rapporti: «Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4). Proseguendo la sua lettera, esorta a centrare la mente e il cuore sul mistero dello "svuotamento", dell'abbassarsi di Gesù, cioè sulla sua diaconia, poiché egli accettò di andare fino in fondo, cioè, fino alla morte di croce, per salvare l'umanità e, per questo, fu esaltato con la risurrezione: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami:"Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre» (Fil 2,5-11). Quali potrebbero essere i segni di ambizione e vanagloria nelle nostre parrocchie oggi? È l'imposizione della propria visione di Chiesa e dei propri interessi pastorali, realizzata da quei ministri ordinati, sacerdoti o diaconi, in nome della loro autorità, senza rispettare l'opinione dei fratelli e delle sorelle che rappresentano il consiglio parrocchiale, vanificando attività e processi pastorali promossi da altri in passato. Si chiama "clericalismo". Ma il clericalismo può essere radicato anche nell'atteggiamento dei fratelli e delle sorelle delle nostre comunità, che non vogliono più lasciare il loro servizio pastorale, poiché esso è diventato uno spazio di potere. Può anche essere la realtà degli influencer e dei predicatori cattolici che fanno successo in rete e influenzano la spiritualità di migliaia di persone, che li seguono e li ascoltano più che seguire e ascoltare le lieee guida del vescovo Diocesano e dei pastori della parrocchia stessa. Può essere l'atteggiamento di alcuni leader di movimenti ecclesiali che identificano la Chiesa cattolica nella proposta formativa, celebrativa e attiva del gruppo stesso, volendo che tutti aderiscano all'unica proposta di vita cristiana del proprio gruppo di appartenenza, disprezzando altri carismi e altri modi di essere Chiesa. Di fronte a questi pericoli dell'ambizione e della vanagloria Cristo risuscitato ci propone oggi lo stile di vita della diaconia, per testimoniare autenticamente la nostra comune vocazione battesimale, cresimale ed eucaristica. Offrire ciò che siamo e ciò che abbiamo: l'offerta del corpo La prima regola della della diaconia è la seguente: «Offrire la propria vita in riparazione» (cfr Is 53,10). Quasi alla fine del quarto canto del servo del Signore (Is 52,13-53,12) contempliamo il servo del Signore che offre completamente il suo corpo come venivano offerte nel tempio le vittime di espiazione. Gesù ha vissuto questa offerta morendo sulla croce come «vittima di espiazione per i nostri peccati» (cfr 1 Gv 4,10). Nella lettera a Romani 12,1-2 siamo invitati a vivere la diaconia avendo la gioia e il coraggio di offrire il nostro corpo, cioè tutto ciò che siamo e abbiamo per il bene degli altri, nella comunità e nel nostro ambiente di vita quotidiana: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. 2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto». Tutto ciò lo celebriamo nella dossologia finale della preghiera eucaristica, quando offriamo in rendimento di grazie, a Dio Padre, tutte le opere di carità che quotidianamente compiamo, insieme a Cristo Gesù nel sacramento del suo Corpo e Sangue: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ognio onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen». Ciascuno possa incontrare la gioia di servire occupando il proprio posto nel corpo ecclesiale, come ci dice il seguito della lettera a Romani 12,3-8: «Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento; chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia». Maggiore è la responsabilità di governo, maggiore sia l'umiltà di servire La seconda regola della diaconia è la seguente: «Chi vuole essere grande sarà tuo servitore, e chi vuole essere il primo sarà schiavo di tutti» (Mc 10,44). Qualcuno è chiamato a svolgere il servizio di dirigere, governare, guidare, incoraggiare, condurre. Vescovi, presbiteri e diaconi, in quanto ministri ordinati, assumono il servizio di diventare pastori delle Chiese Diocesane, delle parrocchie e delle comunità ecclesiali. Gli animatori di comunità, eletti per formare èquipe ministeriali, collaborano con i ministri ordinati nel servizio di guida delle attività pastorali di una comunità, di un gruppo pastorale e di un movimento ecclesiale. Quanto maggiore è la responsabilità di guidare, maggiore sia la testimonianza di diventare servitori di tutti. Ciò significa concretamente: invocare lo Spirito Santo per imparare ad ascoltare gli altri, a camminare al passo delle persone più semplici e umili, a saper discernere in stile sinodale, il modo migliore per realizzare le attività secondo la volontà di Dio. Condividere le sofferenze dei più poveri e sofferenti La terza regola della diaconia è la seguente: «Come Gesù Cristo, nostro sommo sacerdote, potessimo essere capaci di assumere le debolezze e le fragilità degli altri, conssapevoli delle nostre fragilità» (cfr Eb 4,15). Potessimo muoverci ad incontrare quelle persone che soffrono più di noi! Potessimo avere il coraggio di sentire compassione per le sofferenze delle persone più umili della nostra comunità! Condividere la nostra vita con i più sofferenti è una vera scuola di umiltà e ci aiuta a essere più misericordiosi, più rispettosi, meno orgogliosi, meno arroganti, meno autoritari in tutte le nostre relazioni. Così, uniti a Cristo, potremo dire che non siamo in questo mondo per essere serviti, ma per servire e dare la nostra vita in riscatto per molti (cfr Mc 10,45). |