Omelia (20-10-2024) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La triplice umiltà Il calice, il battesimo e il servo sofferente sono quei concetti che Gesù oppone a coloro che, come Giacomo e Giovanni, ambiscono a posizioni apicali e di grande rilievo. Quello che vorrebbero i due figli di Zebedeo è talmente importante e solenne che nella versione di Matteo dello stesso racconto la petizione viene rivolta dalla loro madre, Maria di Salome: "Di che questi due figli siedano l'uno alla tua destra, l'altro alla tua sinistra nel tuo regno"(Mt 20, 20 - 21). Si trattava infatti di una dimensione di estrema gloria, ai livelli della divinità: chi era alla destra o alla sinistra del Padre era esattamente come Dio e presenziava come lui glorioso e invitto nel giorno del giudizio. Ed esattamente questo volevano i due figli di Zebedeo: essere presenti e partecipi delle sue soluzioni decisionali quando Dio avrebbe giudicato il mondo. La loro pretesa potrebbe essere paragonata al giorno d'oggi a una sorta di raccomandazione o di compromesso. Poiché loro erano stati sempre fedeli al Signore e Gesù li aveva stimati tanto da chiamarli "Boenarghes", ovvero "figli del tuono", per la loro solerzia e animosità (Mc 3, 17), adesso si sentivano in diritto di aspirare a una ricompensa proporzionata. Si suole descrivere del resto Giacomo e Giovanni come persone attive e di buona famiglia, dedite al lavoro e al profitto. Nei vangeli si mostrano sempre attivi e intraprendenti e fanno anche dei suggerimenti al loro maestro, come quando gli propongono che discenda un fuoco dal cielo e divori quei Samaritani che non hanno voluto accoglierlo."(Lc 9, 51 - 56). Pretendevano qualcosa di universale e di assoluto, che non ha nulla a che vedere con i regni terreni. Come dicevamo, si tratta di una di quelle aspirazioni che ai nostri giorni denotano ambizioni di autoesaltazione e di potere; che descrivono carrierismo e arrivismo e non possono che incutere nell'economia sociale invidia, discordia e divisione. Simili pretese suscitano infatti non poche discussioni e obiezioni da parte di chi vorrebbe arroccarsi gli stessi diritti o vanta maggiori meriti per conquistare i primi posti, ma non può raggiungerli perché manca di "spintarelle" o di raccomandazioni. Marco descrive lo sdegno degli altri dieci apostoli quando Giacomo e Giovanni avanzano una simile pretesa, forse perché anche nel resto del gruppo vi era chi avrebbe voluto raggiungere una posizione simile a quella descritta. La reazione dei compagni dei due Boenarghes è speculare delle acredini e dei malcontenti che si verificano anche nei tempi attuali al presenziare di grandi possibilità di successo. Ma dicevamo anche che la risposta di Gesù mira a due elementi: 1) Il "calice" che nella Bibbia esprime dolore atroce, sofferenza, prova e umiliazione con cui è composto il giudizio di Dio. Al momento del giudizio di Dio, per esempio, i malvagi dovranno bere un calice di vino drogato, che dovranno sorbire fino alla feccia (Salmo 75, 9). Come si sa, Gesù, sgomento al Getzemani per quello che lo attenderà sul Calvario, chiederà a Dio che "passi da lui questo calice", ossia questo giudizio divino di condanna che sarà accompagnato dalle atrocità del dolore e dell'umiliazione. 2) Il battesimo, che etimologicamente indica un "affondare", tipico di una nave che si inabissa e riguarda un lavacro nel quale appunto ci si immerge per riemergere a nuova vita. Nel caso sacramentale cristiano, con il primo dei Sacramenti d'iniziazione siamo chiamati ad "affondare" quanto al peccato e all'uomo vecchio, per riemergere nella novità di vita come purificati e santificati; nel caso di Gesù, il battesimo riguarderà il suo affondare e disperdersi nelle "acque" della morte che saranno tappa necessaria alla risurrezione. In parole povere, Gesù risponde ai suoi interlocutori che quello di cui dovrebbero preoccuparsi è di di dover condividere la sua stessa sorte di passione e di resurrezione per risuscitare con lui e con lui vivere nella gloria. Sono invitati alla sottomissione, al sacrificio, all'immolazione e a recare, seppure nella forma differente, la croce con il loro Maestro, perché questo è l'itinerario della vera sequela del Signore e anche la vita stessa non esenta nessuno da immolazioni e sacrifici. E' promesso senz'altro un premio di gloria e possono esservi giusti obiettivi di salvezza e di innalzamento, ma nessuna promozione è mai conseguibile per mezzo di raccomandazioni o di favoritismi; neppure segue espedienti e itinerari propriamente umani, ma racchiude in sé come inevitabile e producente, la tappa fastidiosa della croce. E' opportuno accoglierla come opportunità di fortificazione, di maturazione e di consolidamento di noi stessi in vista di qualsiasi obiettivo di gloria, perché anche una volta conseguito questo possa persistere in noi la modestia e l'umiltà che l'immolazione e il sacrificio ci avranno procurato. La croce è quella con cui in noi si immola ancora lo stesso Cristo morto e risorto, il quale a sua volta è la concretizzazione della prefigurazione del Servo Sofferente di cui in Isaia 52 - 53. Questi è il personaggio allusivo di cui si parla con dispregio e con vituperio e che preannuncia il destino vero di Gesù Messia, quale Agnello votato al macello. Ricompensa e gloria futura poi sono sempre appannaggio non dell'uomo ma del solo Padre delle misericordie, che unico è in grado di dare a ciascuno la ricompensa proporzionata alla fedeltà. Calice e battesimo non sono solamente possibili, ma anche necessari per la sequela di Gesù e sono allusivi a una nuova pedagogia di convivenza sociale: quella del servizio umile e disinteressato. La vera potestà risiede infatti nell'utilità verso gli altri, nell'abnegazione e nel servizio e nessun modello di autorità è possibile che non si identifichi con la dedizione al prossimo, specialmente appunto nelle posizioni di dominio sulla massa. Ergersi al di sopra degli altri è quindi una posizione di responsabilità e di estremo sacrificio in cui gli oneri prevalgono sugli onori quando si vuol esercitare l'autorità convenientemente, ossia nella ricerca sincera dell'interesse e del bene del gruppo che ci viene affidato. Qualora il potere venga scelto come fine a se stesso e nella sola finalità del prestigio altezzoso dei primi posti e della distanza aristocratica dagli altri ceti, non potrà che comportare l'umiliazione di dover capitolare, come già spiegava Gesù a proposito di un invito a pranzo. Chi cerca si affretta verso i primi posti, sia a tavola che nella società, può sempre trovare chi lo costringa a spostarsi negli ultimi stalli della fila; chi invece privo di ambizioni va in cerca subito degli ultimi posti, troverà senz'altro chi lo inviterà a spostarsi nelle vicinanze del capotavola. E' l'umiltà di cui si compone il servizio, che è a sua volta espressione della carità franca e disinteressata per la quale il bene fatto agli altri avrà le sue ripercussioni a nostro vantaggio. Purché tuttavia non disdegni le tappe fondamentali del calice e del battesimo del Servo Sofferente. |