Omelia (23-10-2024)
Missionari della Via


Anche se ci viene difficile parlarne e ci fa paura, questo brano evangelico ci fa venire in mente proprio la morte. È lei che sentiamo come un ladro che da un momento all'altro potrebbe venire a portarci via la vita. Perciò la morte ci fa paura; ma per noi cristiani è anche la certezza di un incontro con Cristo, un abbraccio che in qualche modo racchiude tutto l'amore che abbiamo dato e la responsabilità del buon vivere. Ci chiediamo mai: quando moriremo cosa ricorderanno gli altri di noi? Che siamo dei traditori o delle persone affabili? Ci ricorderanno per il nostro amore? Ci chiediamo mai se vale la pena combattere e litigare con qualcuno, dato che un giorno saremo davanti a Dio? Comunque sia, la morte ci chiama all'essenziale, a fare i conti con le cose che valgono. Tutti noi abbiamo nella vita un potere, cioè possiamo influire nel nostro contesto. Più ci viene affidato e più siamo responsabili dell'amore che mettiamo in circolo. È ovvio che un padre di famiglia, un lavoratore o a un sacerdote, comunque siano, hanno una loro responsabilità davanti a Dio, quella dell'amore. Il resto è una perdita di tempo; tutto il tempo che sprechiamo a litigare, a cercare nemici, a sgomitare per posti di onore, a invidiare la gioia altrui è tempo sprecato per l'amore. Noi spesso ci preoccupiamo di imporci, di fare carriere, di essere riconosciuti in qualche modo, di essere ascoltati e ricordati ma dimentichiamo che nel momento della morte non vale nulla di ciò che abbiamo fatto se non l'amore. Quante persone subiscono cattiverie in famiglia, in contesti di lavori o nei paesi con le dittature, e arrivano persino a sentire il desiderio di augurare la morte ai loro persecutori. È brutto da dire ma quando si soffre per mancanza di pace, la morte sembra una soluzione. Il giudizio di Dio ci chiama all'essenziale, a quanto abbiamo concretamente amato; anche e nonostante le persecuzioni, rimarrà questo, nient'altro. Il vero vincitore è colui che sa amare, il resto è vergogna, anche nella storia. Perciò i santi avevano capito il segreto che ci insegna la morte. Essa è un po' come fiorire, perciò la morte del santi è raccontata come un momento fraterno, di abbandono confidente, di compimento di una vita, tant'è che san Paolo in virtù della sua speranza afferma che «vivere è Cristo e morire è un guadagno» (Fil, 1,21), san Francesco d'Assisi la chiamò "sorella" e, possiamo anche dire, Cristo stesso le diede il "nome" di compi-mento (cfr Gv 19,20). La paura della morte è un'esperienza che ci conduce a vivere, proprio perché non siamo fatti per la morte ma per la vita; e allo stesso tempo è come se la morte ci ponesse al limite di un vivere diverso. È un po' come la fede, così com'è presentata da Dio ad Abramo: «Lascia la tua terra e va'» (Gn 12,1). Non si sa né dove e né perché: si sta sul limite e ci si apre all'amore. Chi ama riconoscerà nel momento della morte l'Amore che gli viene incontro!