Omelia (27-10-2024)
Missionari della Via


La guarigione del cieco Bartimeo è l'ultimo miracolo di Gesù prima della sua passione, il punto d'arrivo della sua opera. Simboleggia l'essere guariti dalla cecità interiore per vedere la sua gloria sulla croce (cioè credere) e seguirlo nel suo cammino di vita.
Bartimeo è cieco: è immagine di ciascuno di noi, nei quali c'è una cecità costitutiva: su Dio, sulla verità dell'amore, su noi stessi. Bartimeo è un mendicante: per vivere dipende dagli altri. Simboleggia il nostro stato: tanto più siamo lontani dal Signore e "ciechi" di fronte al suo amore tanto più mendichiamo amore dagli altri, tanto più chiediamo vita agli altri. E Bartimeo è fermo a lato della strada, bloccato lì. Quante volte anche noi siamo bloccati, fermi nei nostri fallimenti, atterrati nelle nostre cadute. I giorni scorrono ma noi siamo fermi, ai lati della strada, ai margini della vita. Ma al contempo, se è vero che Bartimeo non vede, è altrettanto vero che sente; è uno che sa ascoltare bene. Il Vangelo dice: «Sentendo che era è Gesù il Nazareno, Bartimeo cominciò a gridare: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me». Bartimeo si apre alla speranza. Pronunciando il nome di Gesù, vuole entrare in relazione con lui. Ed è interessante notare che «Bartimeo è l'unico in tutto il Vangelo di Marco che chiama Gesù per nome. Pensate la sorpresa di Gesù ad essere chiamato per nome. Fino a poco tempo prima, nelle parole dei discepoli Gesù era identificato come il taumaturgo, il maestro, il Cristo, insomma "la muncà da mungere", quello che deve dare tutto, pane, pesci. Qualcuno da sfruttare. Invece chiamandolo Gesù, è come se Bartimeo dicesse: m'interessa la mia relazione con te. E chiede di aver pietà di lui. Vede meglio degli altri chi è Gesù (il Messia) e cosa può fare per lui (= salvarlo)» (p. S. Fausti). E perché Bartimeo grida tanto? Perché non è rassegnato al buio e insiste. Sa che Gesù può restituirgli la vista, e con essa il senso della vita, la pienezza di vita. Bartimeo ci insegna che dobbiamo saper attingere al fondo della nostra angoscia, è un dono che Dio ci ha fatto perché possiamo cercare ciò che davvero vale. Spesso la nostra preghiera è banale, annoiata perché di fatto non c'è dentro l'intuizione della bellezza, non sappiamo cosa chiedere, non vediamo neanche cosa sia necessario. E allora giù a far preghiere, liturgie e riti senza sapere neanche perché, giusto per fare il proprio dovere e aver pagato la tassa a Dio. Fa bene chiedersi: e io come cerco il Signore? E per che cosa lo cerco?

Bartimeo, dunque, cerca Gesù con tutto il cuore ma ecco il paradosso: «Molti lo sgridavano, perché tacesse». Il mondo, la carne e il demonio ci dicono di tacere. Il mondo, dunque il modo di pensare mondano, i media, quelli che spesso ci dicono: "ma che preghi a fare, mettiti a lavorare..." E poi la carne, cioè la nostra umanità ferita, con le sue passioni da ordinare, i suoi appetiti egoistici che ci distraggono e ci tirano fuori dalla preghiera. E poi c'è il nemico, il demonio che ci parla male di Dio e ci dice due cose: "Dio non ti ascolta, non te lo meriti"; e poi "Dio non ti serve, ce la fai da solo". Ecco la folla di pensieri, esterni e interni a noi che ci scoraggiano mentre noi, come Bartimeo, dobbiamo perseverare. Egli infatti combatte, e grida ancora più forte. «È una delle caratteristiche che a livello delle regole del discernimento, anche sant'Ignazio dà. Nei confronti delle difficoltà quello che invita a fare è di reagire... agendo in maniera contraria. Sei preso dalla sfiducia? Agisci in maniera opposta: ce la puoi fare. L'esempio che lui dà: ti metti in preghiera, ti verrà la tentazione di dire: "No, stai perdendo tempo; tu stai facendo perdere tempo al Signore che ha da fare cose più importanti, vai a fare qualcosa di meglio!". No, resisti, anzi Sant'Ignazio dice: "stai lì un minuto in più". Quello che vale per la preghiera vale anche per altre cose... è una regola che non solo ci invita ad avere fiducia nel Signore, ma anche in noi stessi. Puoi gridare di più delle voci che ti vogliono mettere a tacere: prova, fallo, poi vediamo. Prima però fallo! E non dire: No, non ce la faccio» (B. Lavelli).

A questo punto Gesù lo manda a chiamare e Bartimeo di scatto lascia tutto. Cosa chiede a Gesù? Di vedere di nuovo. Il verbo greco anablepo non vuol dire solo vedere di nuovo ma vedere dall'alto, cioè vedere le cose da un'altra prospettiva, secondo l'amore. Significa vedere il disegno di Dio nella propria vita, il disegno della sua Provvidenza. È come se davvero questa persona chiedesse di aprire gli occhi sulla realtà, di nascere finalmente, di ritornare alla vita, quella vera, quella che solo Cristo ci può dare. E infine, una volta guarito, Bartimeo segue Gesù. Prima era ai margini della strada, ora lo segue lungo la via. È immagine del vero discepolo, che finalmente ci vede, e che mette i propri passi dietro a quelli di Gesù. Questa domenica ci annuncia il ritorno possibile, ci invita a combattere contro le resistenze interiori ed esteriori, a gettare il mantello. Quando la preghiera è profonda ci porta al nostro vero io, all'unificazione della persona che lascia tante sicurezze inutili e si incammina per ricevere un nuovo mantello: quello del discepolo. E infatti quest'uomo userà gli occhi per vedere e seguire Gesù senza perderlo più.

PREGHIERA
Signore, donaci occhi capaci di vedere il senso della realtà, che sappiano riconoscerti, capaci di vedere le necessità e le sofferenze degli altri.