Omelia (30-10-2024) |
Missionari della Via |
Alla domanda esistenziale che dovremmo rivolgerci tutti, cioè come ci salveremo, come raggiungeremo il Signore, la risposta è concreta: «Sforzatevi di passare dalla porta stretta!». Il passaggio a una vita nuova ha bisogno dello sforzo di vivere la testimonianza di Gesù e tutto ciò è un lavoro per tutti. Per capirci, il papa, il cardinale, il vescovo, il prete, la religiosa, il coniuge, il santo stesso si sono dovuti sforzare e hanno vissuto le fatiche che vivi anche tu. Si tratta di vincere quella pigrizia che porta all'accidia che ti fa dire: "O sono perfetto o preferisco non sforzarmi per niente, tanto non passo, tanto non riesco!". Il Signore ci dice: "sforzati, provaci sempre, rialzati!". Proprio perché sei fragile e non riesci, non fermarti all'esteriore, a far finta di essere con il Signore o a scimmiottare bontà; non pensarti "tra i primi", non credere di possedere già il passaggio preferenziale. Facendo così finirai per essere un operatore di iniquità, contento di apparire quello che non sei, solo perché non accetti che potrai ricadere cento volte! Questo non vuol dire che non ce la farai ma che sei fragile, sempre in cammino. Invece ci sono ultimi, isolati, poveri, disprezzati che saranno primi, perché nella loro miseria continuano a sforzarsi di passare per la porta stretta, di provare ad amare da Dio, di liberarsi da vizi, di amare nonostante tutto il male che vedono e che spesso gli scorre nelle vene. Sono coloro che si straziano per non farsi abbattere dall'ingiustizia per operare la pace, che combattono valorosamente per il bene. «C'è un padrone di casa, che rappresenta il Signore. La sua casa simboleggia la vita eterna, cioè la salvezza. E qui ritorna l'immagine della porta. Gesù dice: «Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: "Signore, aprici". Ma egli vi risponderà: «Non so di dove siete»» (v. 25). Queste persone allora cercheranno di farsi riconoscere, ricordando al padrone di casa: "Io ho mangiato con te, ho bevuto con te... ho ascoltato i tuoi consigli, i tuoi insegnamenti in pubblico..." (cfr v. 26); "Io c'ero quando tu hai dato quella conferenza...". Ma il Signore ripeterà di non conoscerli, e li chiama «operatori di ingiustizia». Ecco il problema! Il Signore ci riconoscerà non per i nostri titoli - "Ma guarda, Signore, che io appartenevo a quell'associazione, che io ero amico del tal monsignore, del tal cardinale, del tal prete...". No, i titoli non contano, non contano. Il Signore ci riconoscerà soltanto per una vita umile, una vita buona, una vita di fede che si traduce nelle opere. E per noi cristiani, questo significa che siamo chiamati a instaurare una vera comunione con Gesù, pregando, andando in chiesa, accostandoci ai Sacramenti e nutrendoci della sua Parola. Questo ci mantiene nella fede, nutre la nostra speranza, ravviva la carità. E così, con la grazia di Dio, possiamo e dobbiamo spendere la nostra vita per il bene dei fratelli, lottare contro ogni forma di male e di ingiustizia. Ci aiuti in questo la Vergine Maria» (papa Francesco). |