Omelia (01-11-2024) |
don Alberto Brignoli |
Felici di essere santi Esiste una specie di duplice rischio, nell'interpretazione del racconto delle Beatitudini. Un primo rischio è quello di interpretarle come se si trattasse di un'aspirazione futura, come un destino al quale tendere in un mondo futuro, in attesa del quale siamo invitati a vivere le differenti situazioni di prova e sofferenza con pazienza e sopportazione, certi che verrà, un giorno, un mondo migliore nel quale ci potremo dire "beati" proprio a causa di queste situazioni. Un altro rischio è quello esattamente opposto, ossia quello di strumentalizzare queste dichiarazioni di Gesù facendole diventare una sorta di dichiarazione di bontà, di "attestato del Buon Cristiano", che si sente autorizzato a collocarsi in una situazione di superiorità rispetto a un mondo cattivo dal quale solo ci si possono attendere contrasti e persecuzioni. Ma lo spirito delle Beatitudini non può ritrovarsi in nessuno di questi due modelli: né in quello della nostalgia e dell'attesa per un mondo migliore che verrà, né in quello della dichiarazione di bontà del cristiano rispetto alla malvagità del mondo. Entrambi i modelli, infatti, rischiano di andare in un'unica direzione, quella di esortare alla sopportazione in vista di un bene futuro, magari visto come "premio" per la costanza nelle difficoltà. Quasi a dire: "Dai, cristiano, vai avanti così che sei bravo! È il mondo a non capirti, e se non ti capisce è perché è cattivo! Ma tu sopporta, perché vedrai che presto godrai di una felicità senza fine che non è degna delle cose di questo mondo!". Proviamo, invece, a ritornare allo spirito originario delle Beatitudini, per cercare di capire come questo possa combaciare con l'annuale ricorrenza di Tutti i Santi che ci ricorda il nostro impegno a vivere la dimensione quotidiana della santità. Gesù, nel Vangelo di Matteo, pronuncia queste parole all'inizio del cosiddetto "Discorso della Montagna", che è da considerarsi come una specie di "programma" della sua attività di predicazione; potremmo dire che con il Discorso della Montagna, Gesù vuole offrirci un "assaggio" di ciò che sarà la sua missione, basata sulla necessità di instaurare un rapporto autentico con Dio, non fatto di sterile osservanza della Legge di Mosè (come era ad esempio per i farisei e i dottori della Legge), ma della costruzione di un rapporto di figliolanza di ogni uomo con Dio Padre. E laddove c'è figliolanza con Dio, laddove si avverte la presenza di Dio nella nostra vita non come giudice severo, ma come padre premuroso, attento e tenero verso i suoi figli, è fuori discussione che i sentimenti che albergano nel cuore dei credenti siano di serenità, di pace, di giustizia basata sulla misericordia ricevuta e offerta; in altre parole, sentimenti di felicità. Quello che Dio vuole da ognuno dei suoi figli che credono in lui è che si sentano bene con lui e che siano felici; e la felicità - la "beatitudine", come la chiama il Vangelo - è la dimensione spirituale che più di ogni altra caratterizza la vita di coloro che hanno posto tutta la loro fiducia in Dio e che oggi veneriamo e invochiamo come "Santi". Questa celebrazione annuale ci ricorda più di ogni altra la vera dimensione della santità, che è, appunto, quella della beatitudine, della felicità, dell'entusiasmo di "stare con Dio", in ogni istante della nostra vita: nelle cose belle e in quelle meno belle, nei momenti di prosperità e nei momenti di crisi economica, nella salute e nell'infermità, nel successo e nelle delusioni, nell'amore ricevuto e donato e nella solitudine sofferta. Saremo suoi discepoli, e quindi beati, cioè santi, nella misura in cui in ogni situazione della vita manterremo una dimensione di serenità, e magari saremo anche capaci di esprimerla nella felicità esteriore. Basta, con tutte quelle espressioni di "presunta santità" basate su una rigidezza mentale (fatta anche di tristezza sul volto) che non denota un rigore morale, ma solo infelicità interiore: e dove c'è infelicità e insoddisfazione, difficilmente c'è Dio, anche tra coloro che si ritengono cristiani perfetti! Basta, con quei modelli di santità basati sull'osservanza dei precetti e delle norme come se fossero la via privilegiata per giungere a Dio, il quale guarda più allo Spirito che soffia nel cuore di ogni uomo e di ogni donna più che alla nostra integerrima sudditanza alle norme! Basta, soprattutto, con quelle idee confuse e fuorvianti che ci mostrano la santità come qualcosa riservato esclusivamente a esponenti del clero, a fondatori e fondatrici di istituti e movimenti, a monaci e monache rinchiusi in luoghi che certamente trasudano fede e spiritualità, ma che non hanno e non possono pretendere di avere la pretesa dell'esclusiva su Dio! E chi tra di loro è veramente santo, questo lo sa per certo! La grande quantità di santi e beati ufficialmente proclamati dalla Chiesa in questi anni, senza contare tutti coloro che pur non venendo proclamati tali avranno comunque portato dentro e fuori di sé la felicità, sta a indicarci ulteriormente che la santità è qualcosa di possibile e di accessibile a tutti, in ogni stato di vita, in ogni condizione, con ogni tipo di inclinazione spirituale e qualunque sia il nostro carattere, e soprattutto nonostante i nostri limiti e le nostre incoerenze. Perché Dio - non mi stancherò mai di ripeterlo - ci vuole santi, ma non perfetti: ed è per questo che ci vuole felici, perché solo nel terreno della nostra felicità può crescere il seme della santità. E allora, facciamo davvero di tutto per essere "beati", cioè felici di amare Dio e i nostri fratelli, e cerchiamo di esprimerlo anche visivamente, con gesti concreti di carità, di mitezza, di giustizia, operando misericordia e pace intorno a noi: così, saremo chiamati - e lo saremo realmente - Figli di Dio. |