Omelia (02-11-2024) |
don Andrea Varliero |
Della morte e della vita La luce solenne, accesa ieri per tutti i santi, si trasforma oggi in una luce intima, illuminando la memoria di tutti i nostri fratelli e sorelle defunti. Ieri un giorno solenne, oggi un giorno intimo, in cui riportare al cuore e alla preghiera chi ci accompagna con la propria preghiera. Come sacerdote sono spesso a contatto con la morte, chiamato a celebrarla sempre illuminata dalla fiamma gentile del cero pasquale del Risorto. Che cosa mi indica, che cosa mi insegna questo mio abitare ai margini, sulla riva, al confine, tra la morte e la vita? Poche cose, ma belle: sorella, testamento spirituale, comunione, vita eterna. «Sorella morte» è il primo insegnamento. Gli amici cani, gli amici gatti, l'intera vita dell'universo nasce, cresce e muore, senza drammi né consapevolezza, forse. Unicamente all'umanità, forse, è toccata in sorte la percezione e la coscienza della morte. L'uomo è consapevole che i suoi giorni sono contati, che non potrà abitare all'infinito questa terra. L'uomo ha costruito torri, civiltà, necropoli, templi, biblioteche per giocare a scacchi con la morte. Questo nostro tempo ha risposto declinando tutto al verbo presente: un «oggi», privo di ieri e senza un domani, per evitare la risposta. Un continuo consumo bulimico di qualsiasi cosa e di persone, pur di non affrontare il limite. Un renderla un carnevale deforme, pur di non parlarle. Abbiamo rinunciato a educare al limite, abbiamo rinunciato a portare i nostri figli al funerale dei nonni per non farli soffrire, abbiamo preferito che si identificassero in maschere macabre: soffriranno ancora di più con questa maschera macabra nel cuore. «Sorella morte», ci indica frate Francesco, e con lui la spiritualità cristiana, la morte parte di noi: come l'ombra è necessaria al disegno, per dargli volume e spessore, per definirne i contorni; così l'ombra della morte è necessaria ai colori della vita per tratteggiarne il senso, la bellezza, l'amore ad essa. Sorella, non nemica; sorella, non vendetta; sorella, non maschera macabra; sorella, parte di noi. E più gli parlo, più accolgo il limite di sorella morte, più amo la vita. «Testamento spirituale» è la seconda pagina del diario di oggi. Ma come, don, quando arrivano al funerale sono tutti bravi e buoni, anche se ne hanno combinato di ogni? Qualche volta mi arriva come sfida questa domanda. Rispondo di sì, sembra impossibile, ma rimane unicamente il bene, solo il bene. Il resto è dimenticato in un attimo: i tratti del carattere, le fatiche umane, le contraddizioni, le tensioni, si dissolvono come nebbia a mezzogiorno. I nostri cari ci lasciano un testamento spirituale straordinario: è grazie a quel testamento di valori che noi possiamo camminare in questo mondo, è il loro testamento spirituale la nostra forza quotidiana. Siamo figli e figlie ed eredi unicamente di quel testamento spirituale. «Comunione con loro» è la terza perla di questo giorno. Il regista Kennet Branagh ha reso in un film, Belfast, la sua infanzia, mettendo a fuoco l'ultimo scambio di battute vissuto con il nonno sul letto d'ospedale: dove stai andando nonno? Non vado in un luogo dove tu non mi possa trovare. I nostri cari non vanno in un luogo dove noi non li possiamo trovare: se facciamo silenzio, se ci mettiamo in ascolto, loro sono lì con noi. Se abbiamo paura, loro ci sussurrano a rialzarci. Sono loro la nostra coscienza, la nostra forza, la nostra riconciliazione. Hanno il sapore del Pane: nella messa li ritrovo tutti presenti, stanno condividendo lo stesso canto attorno alla stessa tavola. Non escono dalla nostra vita, vi entrano ancora più in profondità. «Vita, vita eterna» è il quarto dono che questa commemorazione mi offre. Qualcosa della morte è entrato in me fin da quando sono venuto al mondo: ogni giorno di più si invecchia. Qualcosa della vita eterna è entrata in me fin da quando sono venuto al mondo: i miei sì, gli amori che vivo, i valori e le scelte di vita portano un qualcosa di eterno. Una scrittrice che mi ha insegnato l'alfabeto dei sentimenti, Isabel Allende, scrive: «Nel racconto ‘Nel profondo dell'oblio' c'è una frase che vorrei cambiare. La ragazza del racconto dice che ‘la paura è più forte del desiderio, dell'amore, dell'odio, della colpa, della rabbia, più forte della lealtà'. Ho scritto questo racconto nel 1987, pensando al terrore imposto dalla dittatura militare in Cile, ma col trascorrere degli anni, e in particolare con la morte di mia figlia Paula, ho imparato che il sentimento più potente non è la paura, ma l'amore». Cari figli, cari fratelli e sorelle, cari genitori, cari nonni, cari zii, cari amici, cari defunti: oggi siete con me, siete nella comunione dei santi, siete nell'amore più forte, siete in Cristo Risorto. L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace |