Omelia (03-11-2024) |
don Andrea Varliero |
Dio e il prossimo e se stessi, con tutta la creatività possibile: tu amerai Trecentosessantacinque no, uno per ogni giorno dell'anno; duecento quarantotto sì, uno per ogni legamento del corpo umano. I giorni intessuti da un sonoro «No», la nostra struttura corporea legata insieme dai comandamenti. In tutto seicento tredici precetti, seicento tredici norme della Legge, della Torah. Un labirinto in cui perdersi, una casistica burocratica che ci fa alzare le braccia e rinunciare, ancora prima di iniziare. No, non è un problema unicamente per i fratelli ebrei, riguarda anche i musulmani, riguarda anche noi cristiani, riguarda i protestanti, gli ortodossi e i cattolici, riguarda le fedi orientali e i movimenti carismatici: la legge che sta attorno al credere, divieti e prescrizioni che ancora oggi portano sensi di colpa, ossessività che rendono ancora più schiavi, quanto ritenersi con la coscienza tranquilla per aver osservato la regola, senza essersi resi conto del male impartito al fratello, alla sorella. La regola che mette a posto la coscienza, ma le mani e la lingua rimangono sporche di odio. Una religione della facciata, una religione trasversale che attraversa tutti i credo, tutte le latitudini: quella della norma eseguita con scrupolo, ma il cuore altrove. Dunque, Signore, di questi seicento tredici norme, qual è la più importante? Chiede uno scriba, e noi con lui: quante volte devo confessarmi, se non sono venuto a messa? Sbaglio a ricevere la comunione in mano? Sono condannato se non ho recitato l'intero breviario, il rosario? E abbiamo dimenticato di voler bene a chi ci stava attorno. La risposta è bella, la conosci; non è nuova, è già scritta da mille anni prima di me, prima di Gesù Cristo. La trovi scritta nel Deuteronomio, la trovi scritta sugli stipiti delle porte di casa tua, per toccarla sempre prima di uscire e prima di rientrare. La trovi impressa nella tua memoria perché tuo padre te l'ha insegnata e a tuo figlio sei chiamato a trasmetterla. Ti è stata affidata perché tu possa abitare la terra: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutti i tuoi cuori, con tutta l'anima e con tutte le forze». Tu amerai: è bello questo verbo al futuro, intessuto per i giorni che verranno. È il futuro di una mappa da seguire, di un percorso da affrontare, di un cammino tutto da compiere. Tu amerai, è la bellezza di nuovi giorni, di nuovi inizi sempre possibili. Con tutti i tuoi cuori: sono cuori al plurale, perché sa bene il Signore che i nostri cuori sono un abisso, un baratro, cono cuori che conoscono tutto il bene e tutto il male, la splendida luce e la profonda tenebra. Cuori unificati, riconciliati dal desiderio di Lui. Tu amerai con cuori, anima e forze: amore intelligente è chiamato ad essere, amore che decide, amore forte che non si lascia intimidire. No: l'amore non è un sentimento né un'emozione, l'amore è la nostra forza, la nostra anima, la nostra vita. E anche il secondo comandamento lo conosci: amerai il prossimo tuo come te stesso. Anche questo non l'ho inventato io, dice Gesù Cristo, anche questa norma è già scritta nel Levitico e nell'Esodo. Il prossimo mio: quello di casa, quello che mi calpesta i piedi, quello con cui faccio più fatica. Perché mi è tanto facile amare le persone lontane, i poveri dall'altra parte del pianeta, ma il prossimo che bussa alla mia porta e mi infastidisce, quello che in casa non sopporto, quello dall'altra parte della siepe, ebbene è tutta un'altra storia. Ecco, questo prossimo che conosco in volto, questo volto che ho incontrato e che mi ha deluso, questo con cui non riesco più a parlare, questo prossimo sono chiamato ad amare. Amare Dio e amare il prossimo, niente di nuovo sotto il sole, tutto già scritto. Allora, dove sta la novità: per la prima volta diventano un'unica cosa, si fondono in un unico comandamento. Amare Dio è amare il prossimo, la preghiera più bella e sincera che posso fare a Dio è scritta nel volto del prossimo mio. Dio e l'umanità sono diventati talmente uno, da non poterli più separare, da non poterli più trattare come strade parallele. Amare Dio è amare il prossimo. E tra i due ve ne sta un terzo, essenziale eppure dimenticato: come se stessi. Volersi bene: ce ne vogliamo sempre meno. Ci sembra di rubare tempo, di non meritarcelo, non ci concediamo di perdonarci, di accoglierci nel nostro limite, di amare quella carezza che mendichiamo. Proverò, proverò di nuovo: lascerò entrare Dio in quel rapporto difficile che ho con quel volto del prossimo mio, lascerò entrare quel volto antipatico e difficile anche qui in chiesa mentre ti sto pregando, mi lascerò amare come Lui mi ama. Dio, il prossimo, se stessi: mai più separabili, mai più opposti, mai più in guerra tra di loro. E un verbo che ha il sapore della libertà, del futuro, di tutta la creatività possibile: tu amerai. |