Omelia (03-11-2024)
padre Gian Franco Scarpitta
Amore antico e nuovo

Ancora un tentativo di confondere Gesù e di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Questa volta con il quesito dello scriba su quale sia il più grande comandamento della Legge, cioè della Scrittura. Vi erano ben 613 disposizioni nella Legge di Mosè che il popolo era tenuto a conoscere e ad applicare e un Decalogo che ne costituiva l'epitome e la sintesi, che anche noi conosciamo e che Gesù ha perfezionato nella sua missione e nei suoi insegnamenti. Ma qual è il primo, in ordine numerico e anche in ragione di importanza o di precedenza?
Per rispondere adeguatamente, occorrerebbe non tanto visionare l'enumerazione delle norme e dei comandamenti divini, quanto piuttosto considerare i moniti che Dio rivolgeva al popolo quando era in procinto di entrare nella terra promessa come del resto sottolinea anche il passo del Deuteronomio di cui alla Prima Lettura: Ascolta (Shemà) Israele, tutti i comandi del Signore e procura di metterli in pratica tu e le generazioni future perché possiate vivere sereni nel paese dove scorre latte e miele. Poiché cioè il Signore vi sta concedendo prosperità dopo decenni di stenti e di lotte, ebbene considerate, valutate e apprezzate i suoi comandi perché questo verte a vostro vantaggio. Dio conseguenza, il primo dei Comandamenti non può che riguardare Dio e il debito che di riconoscenza che tutti si deve avere nei suoi confronti: Amarlo al di sopra di ogni altra cosa, come unica divinità che non ammette altri culti stranieri. Nella terra di Canaan dove si stava per entrare vi era la possibilità reale di restare sedotti e contaminati da idoli, feticci, simboli sacri e affascinati dal culto di divinità pagane devianti. Ecco perché allora Dio vorrà imporre se stesso come unico Signore e unico Dio insostituibile e imporrà anche (Esodo) di non costruire né edificare immagini o icone di divinità alcuna: ci sarebbe stato il rischio di idolatrare quelle stesse raffigurazioni. Solo al Dio che vi ha fatto uscire dalle ostilità dell'Egitto e del deserto occorre rendere culto e rivolgergli tutto l'amore possibile, con tutti voi stessi: cuore, corpo (le tue forze) e anima. E' stato Dio per primo a farsi conoscere dall'uomo e a manifestargli il suo amore e poiché abbiamo fatto conoscenza confidenziale di lui, non possiamo che amare solo lui per primo. Così come si ama la propria madre fra tutti gli uomini e nessun altro prima di lei. Gesù sostituisce la parola cuore con "mente", ma questo termine non è differente dal primo, poiché per "mente" si intende la fede intensa, ragionata e motivata. L'amore verso Dio va rivolto quindi sia nel sentimento che nella ragione, sia ancora con "tutte le forze", cioè adoperandoci in tutto per fare la sua volontà, anche dal punto di vista fisico.
Gesù però aggiunge a questa dimensione verticale anche un'altra orizzontale: l'amore verso Dio non può che estendersi a tutti gli altri, al nostro prossimo, passando da noi stessi. Il vincolo di comunione non può limitarsi alla sola relazione interpersonale fra me e Dio, ma così come io faccio esperienza dell'amore divino sono tenuto ad estenderlo agli altri.
Chi con entusiasmo coltiva una passione, hobby, un'ideologia certamente né gode egli stesso per primo, ma non può fare a meno di renderne partecipe anche gli altri. Non soltanto si è portati a vivere ciò in cui si crede e che si coltiva con passione, ma inevitabilmente lo si vuole diffondere in giro. Chi ha fatto esperienza dell'amore di Dio, se n'è lasciato avvincere, ne è rimasto affascinato, in una parola si è convertito ad esso, non può che estendere con entusiasmo e gioia lo stesso amore anche al prossimo, amando senza riserve i fratelli e senza retoriche o discriminazioni. Il prossimo sarà per noi quello che Gesù stesso descrive nella famosa parabola del buon Samaritano, cioè gli altri universalmente intesi, fossero pure i nemici più reprobi e detestabili.
Gesù aggiungerà poi un'altra motivazione in più, che renderà l'idea dell'attualità di un comandamento veterotestamentario: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri."(Gv 13, 31 - 35). Si mostra cioè modello effettivo e conveniente di questo amore necessario, rilevando ancora una volta che la ragione principale per cui esso dev'essere esercitato è il fatto stesso che Dio, nello stesso Cristo suo Verbo, non si è risparmiato per noi, sottomettendosi con umiltà in tutto fino a lavare i piedi ai suoi discepoli e soprattutto fino a morire sulla croce per il nostro riscatto. Il suo comandamento è "nuovo" non perché inaspettato o finora mai esistito, ma perché costituisce una novità quanto alla qualità: nuovo (Neos) perché qualitativamente innovativo. E' il comandamento che di fatto Giovanni definisce "antico" eppure sempre "nuovo" della Parola divina che abbiamo udito (1Gv 2, 7 - 8); che ciò ci è stato trasmesso sin dall'inizio e che ora è avvalorato dal Verbo della vita che noi abbiamo toccato con mano, Gesù Cristo (1, 1 -3) del quale non possiamo non dare testimonianza a terzi. Il Comandamento che invita tutti a lasciarsi amare dalla concretezza delle opere di Gesù e che ci invita ad edificare gli altri dell'amore di cui facciamo esperienza.
Si tratta dell'amore perfetto, sommamente qualitativo perché procede dallo stesso Cristo e dall'esempio che egli ci ha dato, non semplicemente dell'amore filantropico. Esso si può acquisire solamene nella continua comunione con Gesù, nella sua compagnia e nella sequela, perché ne possiamo recare testimonianza convinta ed entusiasta nella concretezza dell'amore verso il prossimo.
Quello per il quale "chi prega sempre senza stancarsi ama comunque e chiunque" e per il quale "Chi bene fa, sempre prega"(San Francesco di Paola).