Commento su Gv 18,33-37
«Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce"».
E così il tarlo del dubbio si è insinuato anche nella coscienza dell'Inquisitore, ha inciso la sicurezza del potere e l'alterigia dell'autorità. Più tardi, nella continuazione tragicamente narrata del dramma della Passione, diventerà addirittura profezia, quando Pilato - dopo aver fatto ridicolizzare, schiaffeggiare, percuotere, insultare il Cristo, e dopo aver rifiutato di assumersi quelle responsabilità che dovrebbero caratterizzare il potere - consegna Gesù al popolo esclamando: «Ecco l'uomo!».
Il governatore romano, di cui gli storici coevi narrano la ferocia, addirittura punita dalle autorità romane con la rimozione e il rientro in patria (ma di lui si perdono le tracce a Roma), non ha certo la percezione di pronunciare la verità più profonda della storia umana: il Cristo immagine delle donne e degli uomini di ogni tempo, sempre in preda al dolore, all'angoscia, al disprezzo dei potenti di turno.
«Dare testimonianza alla verità...Ma che cos'è la verità...?».
Ecce homo!... La verità non è la filosofia, l'economia, il diritto, neppure la religione. La verità s'incarna in un uomo che è Dio. Si chiama Gesù di Nazareth. Ha sfidato la filosofia, l'economia, il diritto, la religione. Soccombe ogni giorno di fronte agli imperialismi planetari - laici o sacrali - della cultura e della politica. Ed incarna a sua volta l'essere umano totale, in una tridimensionalità che ingloba a un tempo la dimensione fisica, sociale e storica. È attraverso questo spessore totale che passa la regalità del Cristo che oggi festeggiamo, la regalità dell'essere umano.
È un modo ben strano di essere re, quello del Cristo. Soprattutto se valutato attraverso gli occhi un po' miopi di una concezione della Storia alla quale siamo assuefatti e che privilegia - nei santuari inaccessibili di una cultura elitaria - il racconto delle figure e degli avvenimenti di coloro «che contano», che hanno cultura potere e ricchezza, che danno spallate a destra e a manca per affermare la propria superiorità e il loro prestigio personale e della nazione che rappresentano.
Certo, può apparire scandaloso considerare re un uomo che muore nel ludibrio generale, un uomo abbandonato nell'impotenza, solo, nudo, stravolto e privato di ogni sembianza umana, un uomo «sconfitto» secondo il raziocinio umano che non prevede la risurrezione. La storia umana non è mai tenera con il perdente. Eppure questo Re «anomalo» è la nostra forza e la nostra speranza di donne e uomini credenti (e, prima, pensanti, come direbbe il cardinale Martini). Non crediamo a chi ci inganna presentandoci un modello di re diverso, cha ama i trionfalismi e che si compiace della sua potenza, che saggia la fedeltà dei suoi sudditi con il bilancino del farmacista, che ama le liturgie solenni e le parate oceaniche, che considera l'orto degli ulivi un luogo per trascorrere il weekend, che antepone la certezza del diritto al rischio eversivo della comprensione amorosa. Un re, il nostro, che non viaggia scortato su macchine blindate, ma cammina a piedi nudi con l'essere umano, anche con quello che ci fa voltare la testa dall'altra parte perché ha l'alito che puzza di vino scadente, che non possiede lo smoking, ma il cui abito ha invece bisogno di una buona lavata e aspetta che qualcuno ne regali uno smesso da sostituire, e il cui linguaggio non è sempre edificante... Il nostro re non si fa precedere nei suoi incontri con gli esseri umani da uno stuolo di messaggeri che preparino con diplomazia il terreno, e con sontuosità l'abitazione, mentre per gli indesiderati ci sono le baracche albanesi o le prigioni libiche. I messaggeri del nostro re sono più abituati a vivere nel deserto che nei sontuosi palazzi d'epoca; si cibano di locuste selvatiche che non sono certo una dieta appetibile e in quanto a calorie lasciano forse un poco a desiderare, predicano la conversione e la liberazione, per finire vittime della spietata e capricciosa figlia di un re. Hanno spesso il torto di dire cose spiacevoli e talvolta perdono - così sembra - il senso della misura. Ma sono queste le norme spesso spiazzanti di un Regno che verifica quotidianamente la sua tenuta non su sondaggi ma su alcune regolette che incominciano con: «Beati!», proclamate venti secoli addietro su un monte palestinese e destinate a costituire una regalità dei senza potere, degli impoveriti, dei pastori, di coloro che hanno la consapevolezza di non contare nulla, non poter fare alcunché per modificare le sorti del mondo, ma di dover sempre subire le decisioni e le vessazioni dei potenti. È la regalità delle prostitute per fame, sfruttate da gente senza scrupoli; esse, ci promette Gesù, ci precederanno nel Regno dei cieli. È la regalità, la sua, dei senza fissa dimora (dirà: «Non ho neppure una pietra su cui posare il capo»), non parliamo di palazzi dalle mille stanze, di ville, di appartamenti lussuosi...), di coloro che vivono un disagio fisico e psichico, dei detenuti, degli stranieri («Ero straniero...», dirà), dei migranti. Nella società del benessere, della ricchezza ostentata contro i poveri e gli ultimi, dei lavoratori e delle lavoratrici a rischio, il disagio finisce per essere considerato una colpa, e nelle nostre città una vergogna da nascondere. Meglio rendere bella la città, dotarla di confort e di servizi, di resort in cui una cena costa non meno di duecento euro, inutilizzabili dagli ultimi, mandare le ruspe ad abbattere quelle baracche così antiestetiche, piuttosto che prendere atto di una realtà e dare soccorso a vite senza speranza. A questi poveri Gesù darà invece l'annuncio della liberazione, cioè del Regno.
Verrebbe da disperarsi se valutassimo il progresso del Regno in tempi storici. Ma ci è stato promesso da un Dio fedele. A noi, per ora, il compito di essere, come il Cristo, puro dono per l'altro, perché il Regno è pane spezzato per tutti.
Traccia per la revisione di vita
1) Considero l'essere cristiano un privilegio, oppure un compito al quale, insieme con la mia famiglia, devo essere fedele?
2) Che cosa rappresenta per me la croce di Gesù?
3) Quali sono i gesti concreti che come coppia e famiglia abbiamo deciso di compiere per rinnovare il nostro stile di vita e per non offendere la moltitudine di poveri presenti anche nel nostro ambiente quotidiano?
4) Siamo disponibili (e se sì, come) a sensibilizzare la comunità cristiana alle esigenze degli ultimi, di coloro che, a tutti i livelli dell'esistenza, fanno più fatica?
Luigi Ghia - Direttore di Famiglia domani