Omelia (10-11-2024) |
don Lucio D'Abbraccio |
Non facciamo i pavoni ma impariamo ad essere umili e a fidarci sempre di Dio! La Liturgia della Parola di questa domenica ci presenta come modelli di fede le figure di due vedove. Ce le presenta in parallelo: una nel Primo Libro dei Re (prima lettura), l'altra nel Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato. Entrambe queste donne sono molto povere, e proprio in tale loro condizione dimostrano una grande fede in Dio. La prima compare nel ciclo dei racconti sul profeta Elia. Costui, durante un tempo di carestia, riceve dal Signore l'ordine di recarsi nei pressi di Sidone, dunque fuori d'Israele, in territorio pagano. Là incontra questa vedova e le chiede dell'acqua da bere e un po' di pane. La donna replica che le resta solo un pugno di farina e un goccio d'olio, ma, poiché il profeta insiste e le promette che, se lo ascolterà, farina e olio non mancheranno, lo esaudisce e viene ricompensata. La seconda vedova, quella del Vangelo, viene notata da Gesù nel tempio di Gerusalemme, precisamente presso il tesoro, dove la gente metteva le offerte. Gesù vede che questa donna getta nel tesoro due monetine; allora chiama i discepoli e spiega che il suo obolo è maggiore di quello dei ricchi, perché, mentre questi danno del loro superfluo, la vedova ha offerto - annota l'autore sacro - «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Da questi due episodi biblici, sapientemente accostati, si può ricavare un prezioso insegnamento sulla fede. Essa appare come l'atteggiamento interiore di chi fonda la propria vita su Dio, sulla sua Parola, e confida totalmente in Lui. Quella della vedova, nell'antichità, costituiva di per sé una condizione di grave bisogno. Per questo, nella Bibbia, le vedove e gli orfani sono persone di cui Dio si prende cura in modo speciale: hanno perso l'appoggio terreno, ma Dio rimane il loro Sposo, il loro Genitore, il loro Protettore. Tuttavia la Scrittura dice che la condizione oggettiva di bisogno, in questo caso il fatto di essere vedova, non è sufficiente: Dio chiede sempre la nostra libera adesione di fede, che si esprime nell'amore per Lui e per il prossimo. Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa. E infatti entrambe le nostre vedove di oggi dimostrano la loro fede compiendo un gesto di carità: l'una verso il profeta e l'altra facendo l'elemosina. Così attestano l'unità inscindibile tra fede e carità, come pure tra l'amore di Dio e l'amore del prossimo - come ci ricordava il Vangelo di domenica scorsa. Nell'episodio evangelico, inoltre, l'evangelista Marco pone in risalto anche la figura dello scriba. Lo scriba e la vedova sono due figure contrapposte. Ma perché sono contrapposte? Lo scriba rappresenta le persone importanti, ricche, influenti; l'altra - la vedova - rappresenta gli ultimi, i poveri, i deboli. In realtà, il giudizio risoluto di Gesù nei confronti degli scribi non riguarda tutta la categoria, ma è riferito a quelli tra loro che ostentano la propria posizione sociale, si fregiano del titolo di «rabbi», cioè «maestro», amano essere riveriti e occupare i primi posti: «Guardatevi - dice Gesù alla folla - dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti». Quel che è peggio è che la loro ostentazione è soprattutto di natura religiosa, perché pregano - dice Gesù - «a lungo per farsi vedere» e si servono di Dio per accreditarsi come i difensori della sua legge. E questo atteggiamento di superiorità e di vanità li porta al disprezzo per coloro che contano poco o si trovano in una posizione economica svantaggiosa, come il caso delle vedove. Gesù, però, smaschera questo meccanismo perverso: denuncia l'oppressione dei deboli fatta strumentalmente sulla base di motivazioni religiose, dicendo chiaramente che Dio sta dalla parte degli ultimi. E per imprimere bene questa lezione nella mente dei discepoli offre loro un esempio vivente: quello della vedova. Ebbene, l'insegnamento che oggi Gesù ci offre ci aiuta a recuperare quello che è essenziale nella nostra vita e favorisce una concreta e quotidiana relazione con Dio. Le bilance del Signore sono diverse dalle nostre. Lui pesa diversamente le persone e i loro gesti: Dio non misura la quantità ma la qualità, scruta il cuore, guarda alla purezza delle intenzioni. Il Papa San Leone Magno, di cui oggi celebriamo la memoria, così afferma: «Sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensì il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi. Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto» (Sermo de jejunio dec. mens., 90,3). Questo significa che il nostro «dare» a Dio nella preghiera e agli altri nella carità dovrebbe sempre rifuggire dal ritualismo e dal formalismo, come pure dalla logica del calcolo, e deve essere espressione di gratuità, come ha fatto Gesù con noi: ci ha salvato gratuitamente! Ecco perché Gesù indica quella vedova povera e generosa come modello di vita cristiana da imitare. Di lei non sappiamo il nome, conosciamo però il suo cuore; ed è quello che conta davanti a Dio. Quando siamo tentati dal desiderio di apparire e di contabilizzare i nostri gesti di altruismo, quando siamo troppo interessati allo sguardo altrui e - permettetemi la parola - quando facciamo «i pavoni», pensiamo a questa donna. Pensare a questa povera donna vedova ci farà bene e ci aiuterà a spogliarci del superfluo e a rimanere umili perché, come dice l'apostolo Paolo nel discorso agli anziani della Chiesa di Efeso: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (cf At 20,35). La Vergine Maria è esempio perfetto di chi offre tutto se stesso confidando in Dio; con questa fede ella disse all'Angelo il suo «Eccomi» e accolse la volontà del Signore. Maria aiuti anche ciascuno di noi a rafforzare la fiducia in Dio e nella sua Parola e ci sostenga nel proposito di dare al Signore e ai fratelli non qualcosa di noi, ma noi stessi, in una offerta umile e generosa. Amen! |