Omelia (17-11-2024) |
diac. Vito Calella |
Nel tempo presente con i poveri, aggrappati a due certezze La Parola di Dio, in questa penultima domenica dell'anno liturgico, prima della solennità di Cristo Re, ci aiuta a vivere con coerenza, come cristiani, il momento presente, in comunione con i più poveri e sofferenti, tenendo presente due certezze, una che si riferisce al passato e un' altra che si riferisce al futuro. Nel presente insieme ai poveri sofferenti Il ricordo della VIII giornata mondiale dei poveri ci invita a guardare al tempo presente, ponendoci accanto alle persone più sofferenti: le vittime delle guerre e delle calamità naturali, che affliggono il mondo intero. Al momento nel mondo si stanno verificando 56 (cinquantasei) guerre (fonte: Global peace index, giugno 2024). Scrive Papa Francesco nel messaggio per questa giornata: «La violenza provocata dalle guerre mostra con evidenza quanta arroganza muove chi si ritiene potente davanti agli uomini, mentre è miserabile agli occhi di Dio. Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti!» (n. 4). L'incontro internazionale COP 2024 a Baku, in Arzebaijan, è iniziato con molte incertezze perché i leader delle nazioni vogliono difendere i propri interessi economici. Viviamo oggi «in un tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni» (Dn 12,1a). Chi provoca questa angoscia? Potrebbe essere la trinità idolatrica di questo mondo che molti assumono acriticamente: l'idolatria dell' «Io», cioè l'idolatria dell'individualismo di chi illusoriamente esalta la propria libertà assoluta e si crede onnipotente, decidendo da solo cosa è bene e cosa è male; l'idolatria del denaro accumulato e del benessere economico, che riduce la dignità umana al suo potere d'acquisto; l'idolatria del sapere tecnologico e scientifico, che può risolvere tutto, prescindendo dalla teologia e dalla filosofia, che interrogano le coscienze sul senso della vita, sulle relazioni, sull'origine e sul destino finale dell'umanità. Papa Francesco ci avverte: «La mentalità mondana chiede di diventare qualcuno, di farsi un nome a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare ricchezza. Che triste illusione! La felicità non si acquista calpestando il diritto e la dignità degli altri» (n. 4). La libertà assoluta dall'«Io» non salva! I soldi non salvano! Il potere manipolativo e trasformativo della conoscenza tecnologica e scientifica non salva! La Santissima Trinità ci salva: è il nostro Dio creatore, liberatore e santificatore! Noi cristiani siamo adoratori della Santissima Trinità: del Padre, misericordioso e fedele al suo progetto di alleanza eterna con noi; unito al Figlio, Gesù Cristo, morto e risuscitato per la salvezza dell'umanità e di tutte le creature del mondo; nell'unità dello Spirito Santo, già riversato nei nostri cuori, affinché ogni nostra scelta e azione, illuminate dalla sapienza della parola di Dio, siano riflesso e irradiazione della gratuità dell'amore divino. Vogliamo far parte dell'esercito dell'arcangelo Michele, (cfr Dn 12,1a), disposti a combattere contro le forze del male generate dalla trinità dell'idolatria dell'ego, del denaro e della conoscenza tecnologica e scientifica. Vogliamo essere «iscritti nel libro» (Dn 12,1c) dei sapienti che lottano «perché tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Come possiamo vivere con coerenza, come cristiani, nel momento presente? Siamo chiamati a rinnovare ogni giorno due opzioni fondamentali: l'obbedienza alla volontà di Dio, riconoscendoci poveri e peccatori, bisognosi di affidarci con fiducia a Lui; e l'opzione preferenziale per i più poveri e sofferenti, condividendo con loro «la nostra preghiera che sale verso Dio» (Sir 21,5). Solo così saremo annoverati tra gli umili che riceveranno la salvezza eterna. Papa Francesco scrive: «Tutto questo richiede un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante. Un cuore pronto a riconoscersi povero e bisognoso. Esiste, infatti, una corrispondenza tra povertà, umiltà e fiducia. [...] L'umile non ha nulla da vantare e nulla pretende, sa di non poter contare su se stesso, ma crede fermamente di potersi appellare all'amore misericordioso di Dio, davanti al quale sta come il figlio prodigo che torna a casa pentito per ricevere l'abbraccio del padre (cfr Lc 15,11-24). Il povero, non avendo nulla a cui appoggiarsi, riceve forza da Dio e in Lui pone tutta la sua fiducia. Infatti, l'umiltà genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai e non ci lascerà senza risposta» (n. 5 citando EG n. 200) Possiamo fare queste due opzioni se abbiamo due certezze. Non perdiamo mai di vista la certezza che rimanda al passato: l'evento più importante nella storia dell'umanità è la morte e risurrezione di Gesù. Questa certezza oggi ci viene ricordata grazie alla parola di Dio contenuta nella lettera agli Ebrei: «Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi» (Eb 10,12-13). La morte in croce di Gesù è paragonata all'olocausto che il sommo sacerdote faceva nel tempio di Gerusalemme una volta all'anno, nel giorno della festa dello Yom Kippur (il giorno del perdono). Con la sua morte e risurrezione Gesù è stato definitivamente consacrato sommo sacerdote della nostra salvezza, offrendosi come vittima di espiazione per i peccati dell'intera umanità. Questo mistero è contenuto nel sacramento dell'Eucaristia, che, oggi, «rende perfetti per sempre coloro che sono santificati» (Eb 10,14). Ciascuno di noi, ricevendo in comunione il corpo e il sangue di Cristo, è consacrato "sacerdote" (reso perfetto), per fare della propria corporeità vivente uno strumento della gratuità dell'amore divino in tutte le nostre relazioni, lasciandosi santificare attraverso l'azione dello Spirito Santo, già riversato nel suo cuore. Non perdiamo mai di vista la certezza che si riferisce al futuro: la venuta gloriosa di Gesù Cristo e la realtà del giudizio finale sulla nostra vita terrena! Attraverso la nostra fede in Cristo risuscitato, vivo per sempre e già vittorioso su tutte le forze del male che ci affliggono e opprimono le persone più semplici e povere, il Vangelo ci annuncia che «vedremo il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con grande potenza e gloria» (Mc 13,26). Ciò avverrà in modo particolare al momento della nostra morte, quando vedremo faccia a faccia Cristo glorioso e e ci sarà un giudizio sulla qualità della nostra vita terrena. Ciò avverrà sicuramente alla fine dei tempi, con la seconda venuta gloriosa e definitiva di Cristo, re dell'universo. «Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,32). Gesù dice: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). La parola di Dio si avvererà: Cristo è veramente il Signore del cielo e della terra! Tutto ciò che viene fatto in nome dell'idolatria dell'"io", del denaro e della trasformazione della realtà con il potere della scienza applicata alla tecnologia, tutto questo passerà. Nel giudizio finale della vita umana, «molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna» (Dn 12,2). Ciascuno di noi vuole risorgere alla vita eterna perché, in comunione con tutti i poveri di questa terra, ha imparato ad elevare a Dio la sua preghiera, facendo proprie le parole del salmo responsoriale di questa domenica: «O Signore tu sei mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Io ti pongo sempre davanti a me, o Signore, stai alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,8.9-11). |