Omelia (17-11-2024) |
don Alberto Brignoli |
Dio solo resta Fatti eclatanti e disastrosi che riguardano il clima, la guerra, la violenza sulle nostre strade e spesso anche nelle nostre case, sono oramai all'ordine del giorno: e ci sconvolgono, a volte perché ci tocca sperimentarli sulla nostra pelle, e a volte perché entrano nelle nostre vite attraverso lo schermo di un tablet o di uno smartphone. Ma anche qualora, grazie a Dio, non fossimo stati toccati da alcuna esperienza di questo tipo, proviamo - anche solo per un istante, aiutati magari anche dalle immagini che ci arrivano quotidianamente dalla Palestina, visto che dopo tanti secoli la lezione della storia non è ancora stata compresa - a immaginare ciò che la comunità dell'evangelista Marco deve aver vissuto con l'evento della drammatica distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 dopo Cristo da parte dell'Impero Romano, dopo un lunghissimo ed estenuante assedio alla città durato quattro anni. Ciò che videro e vissero in prima persona i sopravvissuti fu talmente spaventoso da spingere Marco a dedicare un capitolo intero della sua opera (di cui oggi abbiamo letto i versetti conclusivi) alla rilettura di quell'evento sulla scorta di vari detti e discorsi profetici di Gesù, raccolti appunto in un unico capitolo perché la comunità non perdesse la memoria di quei fatti. Vedere il Tempio di Gerusalemme andare letteralmente in fiamme e venire annullato non solo nella sua valenza artistica, ma anche e soprattutto in quella simbolica di luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini significava, per la comunità cristiana di origine giudaica che viveva a Gerusalemme, il crollo di ogni certezza e di ogni punto di riferimento, con tutta una serie di dubbi su un Dio che, forse, così potente e così vicino al suo popolo non lo era più, perché altri potenti riuscivano ormai a prevalere su di lui. In questo contesto di totale desolazione, l'evangelista Marco ricorda alla sua comunità alcune parole di Gesù piene di grande speranza, e sono esattamente quelle che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. "Dopo quella tribolazione", ovvero dopo aver riportato alla mente quei drammatici fatti della storia, lo scenario apocalittico si sposta nel firmamento del cielo: a essere sconvolta non sarà solamente la terra, ma anche le potenze del cielo. Detto così, pare che non serva molto a tranquillizzare chi legge: in realtà, il messaggio che vi si cela è di grandissima speranza. Nel linguaggio biblico si parla di "potenze del cielo" (il sole, la luna, le stelle) per riferirsi, in realtà, a dei personaggi storici, ai potenti della terra. Era consuetudine, per i leader politici e i sovrani del tempo, essere considerati come figli delle divinità adorate dai loro popoli, in particolare come figli del Sole e della Luna: da qui deriva l'appellativo di "stelle del cielo" (anche noi, oggi, diciamo "le star") dato ai principi e ai potenti, ritenuti capaci di illuminare e guidare il loro popolo anche nell'oscurità della notte, proprio come fanno la luna e le stelle. Ebbene, finché lo scenario riguarda questa terra, i potenti possono pure essere in grado di sconvolgere l'esistenza dei popoli creando disperazione, sopraffazione e morte; ma quando lo scenario si sposta nel firmamento del cielo, questi che si ritengono "stelle", divinità figlie del Sole e della Luna, non possono prevalere, perché nel firmamento del cielo esiste una sola potenza, quella di Dio e di suo Figlio, di fronte alla quale non potranno far altro che osservarne la gloria e, di conseguenza, crollare. Tra l'altro, il Figlio di Dio che viene con potenza è definito "Figlio dell'Uomo", ovvero figlio di quell'umanità che, alla fine, di questo crollo dei potenti, non potrà far altro che beneficiare: perché "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Vale a dire, coloro che si ritengono "potenze del cielo" presto o tardi termineranno di esercitare il loro potere; così come termineranno pure le cose della terra, ovvero gli eventi della storia con tutta la loro drammaticità e con quel carico di incertezza che sembra farci dire che alla violenza non c'è mai fine. Invece, anche la violenza finirà: finirà per i potenti della terra e finirà pure per la storia e per il mondo, dove essi hanno potuto far prevalere tutti i loro giochi di potere. Di certo, non finirà l'unica potenza che, in tutto questo perenne sconvolgimento, rimane in eterno: Dio e la sua Parola, il Dio Signore della Storia, più potente di ogni potente della terra. Il messaggio, allora, è un messaggio di grande speranza: la storia, quella mondiale, con tutti i suoi sconvolgimenti provocati dai potenti di turno, passerà; passeranno anche tutti quei potenti di turno che sempre più spesso vediamo venire alla ribalta con la loro arroganza e le loro soluzioni a portata di mano e di portafoglio, e stiamo pur certi che non è necessario aspettare la fine del mondo per vederli finire nel dimenticatoio; passerà anche la nostra storia personale, spesso sconvolta da tanti piccoli e grandi fatti della vita che, quando ci accadono, sembrano la fine del mondo, del nostro mondo. Certo, anche il mondo terminerà, come ogni realtà mutevole e non eterna. Ciò che non terminerà è la presenza di Dio all'interno di questa nostra storia. Per questo, non è necessario e non ha alcun senso interrogarsi sul quando o sul come tutto quanto finirà, su quando sarà il giorno dell'intervento di Dio nella storia, perché questo fa parte del suo disegno, del suo progetto sulla storia, di cui - dice Marco - non sanno nulla né gli angeli né il Figlio stesso: figuriamoci se possono saperlo i ciarlatani mercanti di fesserie che lungo la storia hanno venduto e continuano a vendere falsità riguardo alla fine del mondo. A noi spetta solo il compito della fiducia in Dio, una fiducia capace di riconoscere i segni dei tempi con la saggezza dell'agricoltore, che dai rami e dalle foglie è in grado di riconoscere l'arrivo della buona stagione, della stagione dei frutti. E il frutto della buona stagione di Dio non si chiama morte e distruzione: si chiama salvezza. Morte e distruzione le lasciamo alle "star", ai potenti di turno e ai loro giochi di potere: noi ci teniamo volentieri la virtù della speranza. |