Omelia (11-12-2024) |
Missionari della Via |
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». È chiaro come Gesù, con queste parole, si stia rivolgendo a coloro che sono oppressi dalla fatica, dalla stanchezza di chi è fuori dalla volontà di Dio. Infatti c'è stanchezza e stanchezza. Quante volte un consacrato, una mamma, un papà alla fine della giornata sono stanchi, ma è una stanchezza benedetta, è una stanchezza che porta al cielo, è la stanchezza di chi si è speso per il bene dell'altro. Diversa invece è la stanchezza di chi ha escluso Dio dalla propria vita, di chi si affanna per le cose di questo mondo, di chi fa del proprio lavoro, del successo, del potere, del denaro il proprio Dio. Quanti giovani sono spesso stanchi e oppressi perché si ostinano su vie, su progetti che Dio non ha pensato per loro. Non è forse l'esperienza che fa Pietro dopo la morte di Gesù e prima di averlo visto risorto? Egli, chiamato dal Signore ad essere pescatore di anime, ritorna ad essere pescatore di semplici pesci. Il risultato dopo una dura notte di lavoro? Pietro non pesca nulla! È proprio qui che Pietro deve fare l'esperienza di tornare alla chiamata divina perché la sua fatica diventi benedetta e fruttuosa! Domandiamoci dunque se la nostra stanchezza è benedetta perché stiamo lavorando nella vigna del Signore o se siamo affaticati ma anche oppressi perché fuori dalla volontà di Dio! Facciamo dunque nostre queste parole del profeta Aggeo: «Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l'operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento» (Aggeo 1,6-7). «Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Andare tutti a scuola di cuore! Tutti a imparare il cuore di Dio! Imparate da me, dal mio modo, delicato, senza violenza e senza arroganza. Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero. Un giogo: che cosa è oltre il ricordo degli animali da tiro, la loro grande fatica? È una metafora che non sentiamo amica: abbiamo fatto di tutto per scuoterceli di dosso, i gioghi. Gesù però dice: il mio giogo... Il giogo resta il suo. A me dice: "amico d'avventura, siamo in due; non sei solo, inchiodato alla fatica del vivere, del prenderti cura di qualcuno". Don Tonino Bello immaginava: «Siamo angeli con un'ala soltanto e possiamo volare solo abbracciati». Gesù è l'altra mia ala, il mio 'cireneo', il vero maestro che non dà ulteriori obblighi, ma ulteriori ali. Prendete il mio giogo, cioè prendete su di voi l'antica novità del vangelo, che non proibisce mai ciò che all'uomo dà gioia e vita» (p. Ermes Ronchi). |