Omelia (23-12-2024) |
Missionari della Via |
Del Vangelo di oggi prendiamo due piccoli aspetti: aprirsi al nuovo ed essere consapevoli che i figli non appartengono ai genitori Il nuovo da accogliere, la rottura col passato, dal "si è sempre fatto così", ci viene da questo bimbo che sta per nascere: «il suo nome è Giovanni». Ma non vi è nessuno della parentela con questo nome, dicono in tanti ad Elisabetta! Ecco, si rompe quella tradizione che porta ad una vita sterile, ad una fede stantìa, incapace di aprirsi al nuovo di Dio. Spesso rimaniamo nelle nostre gabbie, nei nostri schemi mentali impedendo a Dio di manifestarsi nella nostra vita. Pensiamo di progredire nel nostro cammino di fede e invece siamo sempre al punto di partenza. Ascoltiamo il Vangelo e spesso siamo di quelli che dicono "ah sì, lo conosco", come se avessimo compreso tutta la sapienza di Dio che, invece, ogni volta è capace di dirci cose nuove, di fare cose nuove nella nostra vita. Domandiamoci quali sono quelle cose che ancora ci legano, quali progetti disordinati abbiamo da abbandonare, quali sono i pensieri malati che ancora coltiviamo che impediscono a Dio di operare l'impossibile nella nostra vita! Il secondo aspetto è che i figli vengono alla luce come compimento di un progetto, vengono da Dio. Egli ha affidato loro una missione, non nascono per caso, non sono proprietà privata, ma sono chiamati a diventare dono per l'umanità. Questo è quello che vivono Zaccaria ed Elisabetta e questa è la consapevolezza che ogni genitore dovrebbe avere. «Il genitore è solo l'arco che scocca la freccia, per farla volare lontano». Che sarà mai di questo Bambino? È la domanda che si ponevano in tanti sapendo della nascita di Giovanni Battista. «Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla, davanti ad ogni bambino che nasce. Cosa sarà, oltre ad essere dono che viene dall'alto? Cosa porterà al mondo? Un dono unico e irriducibile. Si chiamerà Giovanni, che in ebraico significa: dono di Dio. Elisabetta ha capito che la vita, l'amore che sente fremere dentro di sé, sono un pezzetto di Dio. Che l'identità del suo bambino è di essere dono. E questa è anche l'identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è «dono perfetto» (p. Ermes Ronchi). |