Omelia (24-11-2024) |
don Alberto Brignoli |
Il Regno di Dio non può tacere! Era l'Anno Santo 1925, quando Papa Pio XI istituì la Solennità di Cristo Re dell'Universo. Se facciamo un po' di memoria storica, ci accorgiamo come dietro a questa scelta non ci fossero solamente motivazioni liturgiche o dottrinali. Sul mondo di allora, infatti, (in particolare sull'Europa) incombevano pericolose forme di totalitarismo politico: dal nazismo al comunismo, l'idea governativa che sembrava emergere in quel tempo era quella di una volontà di dominio assoluto, spesso supportata da aberranti teorie che facevano leva sulla superiorità di alcuni esseri umani rispetto ad altri attraverso la discriminante della razza. Pio XI non si sbagliava, quando diceva di intravedere in questi modelli il rischio di un'intensificazione della violenza, verbale e fisica: egli morì nel febbraio del 1939, pochi mesi prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il cristiano, secondo Pio XI, non poteva riconoscersi nell'uno o nell'altro modello, perché in entrambi era messa in questione la supremazia sul mondo e sulla storia di Gesù Cristo, unico vero Sovrano e Salvatore dell'Universo. E nemmeno voleva che la Chiesa, intesa allora come Regno di Dio qui sulla terra, avanzasse la pretesa di esercitare il dominio sui popoli e sulle nazioni del mondo in nome di un Dio Re che fisicamente non poteva esercitare il potere tra gli uomini. Far combaciare la Chiesa con i regni di questo mondo avrebbe portato a una pericolosa duplice deriva: quella per cui, da una parte, la Chiesa dovesse sottostare a tutte le decisioni e le scelte del potere politico tacendo su ogni tipo di sopruso, e quella opposta, per la quale la Chiesa si sentisse autorizzata a diventare una "teocrazia", nella quale (come avveniva nel Medioevo) la religione detenga il potere spirituale e temporale allo stesso tempo, cosa peraltro ancora molto presente in alcune visioni religiose cosiddette "integraliste". "Ma il mio regno non è di questo mondo", dice per ben due volte Gesù a Pilato nel famoso brano di vangelo che oggi abbiamo ascoltato: questo significa che nessun modello politico che cerchi di conciliare i valori della fede con le leggi del potere può essere assunto dai cristiani come espressione del Regno di Dio. Pilato fa ovviamente fatica a capire che cosa intende dire Gesù: da buon politico, è preoccupato solamente che a Gerusalemme non ci fosse altro regno che quello di Roma o, al più, di quello di Erode, il "re fantoccio" tollerato da Roma per dare ai Giudei il contentino di avere una parvenza di monarchia che in realtà era inesistente. Per questo, Gesù cerca di offrire a Pilato dei criteri per comprendere in cosa consista il suo Regno. Tra questi criteri, ce ne mette uno molto importante, anzi fondamentale: quello della verità, alla quale egli è venuto a dare testimonianza. Una verità basata sulla responsabilità ("Dici questo da te oppure altri te lo hanno detto sul mio conto?") e sulla non-violenza ("Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto"). Quello di Cristo è un Regno in cui ognuno deve avere il coraggio di testimoniare la verità non nascondendosi dietro a funzioni sociali e formalità che scarichino sugli altri la responsabilità di costruire una società più giusta (come fanno molti politici quando si nascondono dietro le leggi da applicare o la Costituzione da rispettare... quando fa comodo a loro, ovviamente...). Gesù vuole da Pilato - ma in fondo lo vuole da ognuno di noi - che ci assumiamo la responsabilità di riconoscerlo come Re e Signore della storia, della nostra storia personale e di quella dell'umanità, e di conseguenza di fare qualsiasi cosa purché la giustizia che il Regno di Dio è venuto a portare si compia. Non possiamo, come Pilato di fronte a Gesù, nasconderci dietro a frasi del tipo: "Sono forse io Giudeo? La tua gente e i tuoi capi ti hanno consegnato a me". Come cristiani, non possiamo, di fronte alle ingiustizie di questo mondo, dire: "Ah, io di queste cose non me ne intendo, che se la vedano altri!". E se siamo cittadini del Regno di Dio, non possiamo neppure ragionare secondo logiche di violenza, perché solo i regni di questo mondo combattono e fanno la guerra per difendere i loro poteri dalle mani dei nemici. Il Regno di Dio non è di questo mondo, per cui la logica della violenza, nel Regno di Dio, non ha senso di esistere. Questo significa che nella mente e nel cuore del cristiano non può abitare alcuna logica violenta: né quella delle armi, né quella fisica o psicologica verso le categorie più deboli, né quella delle campagne denigratorie e delle parole infamanti nei confronti degli avversari, né quella dei gossip, né quella della discriminazione razziale, né quella del consumismo esasperato, né quella dell'arrivismo o del carrierismo. Nessuna logica di violenza può vivere nel Regno di Dio! Questa logica violenta appartiene ai potenti di questo mondo, che spesso sono bravi a camuffarla come una sacrosanta lotta per la rivendicazione dell'identità culturale e religiosa di una nazione, cercando, in questo, di tirare in ballo anche la comunità dei credenti, la Chiesa, la quale corre sempre il rischio di lasciarsi "allettare" dal canto delle "sirene di Ulisse" che le offrono un po' di privilegi in cambio del silenzio su tante scelte di potere e di supremazia che, nel frattempo, i potenti si permettono di continuare a compiere indisturbati. Il nostro Regno, quello del nostro Re che oggi celebriamo, non è di certo un regno di questo mondo: ma sicuramente vive in questo mondo, e se si trova a vivere in questo mondo non può tacere. Deve profeticamente far sentire la propria voce, perché Cristo Re possa continuare a proclamare - almeno lui! - la verità, la giustizia, la pace e la solidarietà fra tutti gli uomini. |