Omelia (24-11-2024) |
don Andrea Varliero |
Io sono figlio di un Re «La prima vittima a morire in guerra è la verità»: è una citazione di Eschilo, un grande autore greco vissuto duemilacinquecento anni fa, grande classico della letteratura ellenistica. È una frase che riportiamo al cuore ogni giorno, cercando di sopravvivere a questo mondo intessuto di conflitti, dove la ragione dell'uno è più forte di quella dell'altro, dove si fa fatica a comprendere una realtà sempre più complessa, fatta non di bianco e di nero, né di bene e di male ben distinti, ma con una porzione di grigio opaco che abita ogni popolo, ogni guerra, ogni conflitto, ogni lite, ogni condominio. Nessuno è solo vittima, nessuno è solo carnefice: così nel mondo, così in casa, così nella grande storia, così nella piccola vita di ognuno di noi. «Che cos'è la verità?» chiede Pilato: da buon politico navigato, il governatore sa come funziona il mondo. Come tutte le persone che hanno tra le mani il potere, Pilato sa essere pragmatico, quasi un cinico. Che cos'è la verità, chiede: ne ho viste tante nella mia esistenza, ne ascolto tante nella politica, tutto è un fiume canalizzato da chi alza la voce più forte, da chi gestisce meglio il flusso delle informazioni, da chi ha più denaro per comperare coscienze e conoscenze. Non risponde nulla chi sta di fronte a lui. Quel silenzio è assordante: Gesù non dice più nulla; eppure, ne avrebbe da dire sulla verità. Lui, figlio della Verità, lui che di se stesso ha avuto il coraggio di dire: «Io sono la via, la verità e la vita». Da quell'uomo in silenzio davanti a te, Pilato, imparo qualcosa di finora mai udito: che la verità non è un'idea, che la verità non è un'ideologia, che la verità non è una formula certa e chiara, che la verità non è una voce metallica senza «se» e senza «ma», che la verità non è un'arma da brandire per umiliare. Davanti a te, Pilato, in silenzio sta ritta in piedi la verità: è una persona, ha un corpo e ti guarda negli occhi. Davanti a te, disarmata e indifesa: mai più la verità senza la carità, mai più la verità senza l'abbraccio dell'umanità. E dunque, cercare la verità nel fragile, nel bambino, nella donna, in chi non conosce difesa. Mai più la verità senza la carità, diceva Giovanni Paolo II: è il nostro discernimento, la nostra speranza, il senso del nostro agire. Volto a volto, due mondi opposti. Così lontani, così vicini: Gesù e Pilato. Pilato ha il potere in mano, eppure è sempre più in agitazione: entra, esce, rientra di nuovo, esce, entra. Chiede, cerca di mediare, cerca di accontentare tutti, di uscirne indenne da un qualcosa che non gli appartiene. E così il potente diventa sempre più schiavo, sempre di più paralizzato, in balia di una massa senza volto, la folla anonima. Davanti a lui Gesù, fermo e in piedi: un re da burla, da deridere, che conosce lo sputo, la chiacchera, il tradimento e il rinnegamento; che conosce la solitudine profonda. Eppure è sempre più re, sempre più libero, scendendo in questo abisso di dono diventa sempre più libero e re. Due modi di essere re, uno di fronte all'altro: mi dicono tantissimo. Richiamano la mia, la nostra regalità: tutti noi siamo dei Re e delle Regine, siamo stati unti con crisma regale il giorno del nostro battesimo. Abbiamo ricevuto lo stesso crisma con cui sono incoronati i re delle casate reali, di noi è stato detto: «Egli stesso ti consacra con il crisma di salvezza, perché inserito in Cristo, Sacerdote, re e profeta, tu sia sempre membro del suo corpo per la vita eterna». Sono state scritte delle parole regali nella mia vita in quel giorno. Io sono figlio di un Re: è la dignità, quella dignità che niente e nessuno, mai, neanche io, potrò cancellare dalla mia vita. Io sono figlio di un Re: è l'essere un buon pastore, che si prende cura. Io sono figlio di un Re: talmente libero da chinarmi a lavare i piedi a tutti quanti. Io sono figlio di un Re: sono libero di essere me stesso, in Lui. Oggi, in questo ultimo giorno dell'anno, in questa festa di Cristo Re, non celebriamo la salita al trono del padrone del mondo, né su un potere che tutto controlla, né su una dittatura che spegne ogni entusiasmo. Oggi stiamo accanto ad un Re che ci abbraccia dal trono di due assi messi in croce, con una corona di spine e di sangue, senza maschere né armatura. Un Re che ci fa sentire a casa, finalmente a casa. Allora, tre piccoli esercizi spirituali per tutti noi: i nostri occhi, le nostre mani, i nostri gesti: siano sempre di bellezza regale. Riportare al cuore le parole regali della nostra vita. Sostare davanti al Crocifisso: "Io lo vedo crocifisso e lo chiamo re" (San Giovanni Grisostomo). |