Omelia (01-12-2024) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Avvento di venuta e di attesa del Dio che ama Nietzche descrive il mondo e la realtà come un continuo ripetersi immutabile di eventi che sono stati e saranno sempre gli stessi (eterno ritorno) e di questo costante ripetersi della realtà e delle cose che restano immutabili l'uomo subisce il peso e il patimento. Di certo non è così nella celebrazione di ogni anno liturgico. Esso è apparentemente caratterizzato dalle stesse celebrazioni che si ripetono ogni anno a Natale, Pasqua, Quaresima e altre ricorrenze; in apparenza sembra essere la solita successione di riti e di eventi celebrativi che si susseguono lungo i mesi e sembra non apportare nulla di nuovo nella vita del credente. In realtà, ogni Anno che, come adesso, inizia con l'Avvento e che si sussegue nella varietà dei riti e delle celebrazioni con cui si rivive ogni aspetto del mistero di Cristo, è sempre innovativo e arricchente. Qualsiasi celebrazione liturgica, anche la Messa domenicale, quando partecipata con attenzione e immedesimazione, apporta sempre delle innovazioni nello spirito umano, anche se in apparenza i riti sono gli stessi. Ancor di più un intero Anno liturgico, che di volta in volta accresce nel credente l'interiorità, la formazione, la crescita spirituale, a condizione che tutte le celebrazioni siano davvero vissute in pienezza e non subite nella sola tautologia degli eventi. Un anno liturgico è sempre un'occasione per usufruire delle novità molteplici che lo Spirito Santo realizza nell'animo umano. E all'inizio di ogni Anno liturgico l'animo è rallegrato e motivato da un particolare tempo di gioiosa aspettativa, che chiamiamo tempo di Avvento. Un tempo privilegiato, che ci introduce nel nuovo Anno con il carattere decorativo ed esaltante della preparazione al Natale. Con questo termine "Adventus" nella paganità si intendeva l'imminenza dell'arrivo di un imperatore che veniva in visita a una città, oppure l'attesa di una delle tante divinità. Fra il terzo e il quarto secolo la Chiesa sostituì tale concezione con l'attesa della celebrazione del Natale del Figlio di Dio che si rende carne, realizzando così un periodo di tempo in preparazione alla grande festa dell'incarnazione del Verbo. Avvento vuol dire quindi venuta di Dio nella storia e il venire di Dio comporta certamente un'attesa. C'è la venuta nella carne del Dio che era, che è e che viene (Ap 1, 9) e l'aspettativa serena e soddisfatta di chi attende questa venuta, qualificandosi essa come una predisposizione interiore frugifera di ricchezza e di esaltazione, che coinvolge anche il mondo esterno. C'è Dio che viene a trovarci facendosi uomo e anzi Bambino, c'è l'uomo che aspetta con impazienza e con gioia questo Dio che per lui si fa' bambino e la risultante sarà quella dell'incontro. C'è Dio che ama l'uomo al punto di farsi uomo egli stesso fino ad assumere l'infanzia;; Dio che nel Bambino è pronto a rinnovare l'amore e la misericordia verso chi si è perduto vittima di se stesso, e l'uomo che si lascia raggiungere e permeare da questo amore e da questa misericordia di cui capisce di non poter fare a meno. Nel Bambino Dio sin china sull'uomo e l'uomo non fa' che incontrare Dio senza bisogno di librarsi verso l'alto o di elevarsi in punta di piedi. L'incontro della gioia che caratterizza la vita. In sintesi l'Avvento è la venuta e l'attesa del Dio Amore. Come vivere queste settimane che ci separano dall'Evento atteso? Come si è detto nell'accrescimento della letizia e della serenità, avvalorata anche dai colori che contornano le nostre strade e per ciò stesso nello sgombero del nostro animo dai veleni e dalle insidie che lo deturpano fino a minacciare la consistenza di questa gioia; vale a dire l'estromissione di ogni acredine, dissapore, malanimo, insoddisfazione che possa caratterizzare il nostro spirito. Superando i conflitti interiori e le animosità e abbattendo tutte le barriere che ci separano dagli altri. La serenità è data dalla pace che a sua volta si conquista con il superamento degli attriti e delle divisioni con gli altri, con il soprassedere su eventuali torti o ingiustizie ricevuti. Come diceva Buddha: "Perdona ai tuoi nemici non perché loro lo meritino, ma perché tu meriti la pace" Questa si conquista con il superamento di tutti gli ostacoli che ci dividono dagli altri e l'attesa del Principe della pace che a sua volta perdonerà ogni cosa a tutti quanti noi è incentivo perché noi possiamo corroborarci e rinvigorirci in tal senso. Pace, gioia e serenità non sono possibili però quando si ometta l'interiorizzazione favorita dalla preghiera e dal raccoglimento almeno periodico. Ecco perché l'attesa del venuto non può non caratterizzarsi anche come un'opportunità di motivarci nell'orazione e nella meditazione, che esaltano lo spirito e scongiurano che l'anima sia troppo compiuta di se stessa. La preghiera non è mai tale tuttavia se non scaturisce nella carità e nella concretezza del bene operato verso il prossimo bisognoso e verso tutti coloro che non vivranno un Natale sereno e appagato come noi ci aspettiamo a motivo dell'inopia, della ristrettezze ma anche a causa delle turbative cagionate dal dolore, dalla disperazione e dall'angoscia. Preghiera, meditazione e carità sono i coefficienti dell'attesa con i quali il Veniente viene atteso premurosamente mentre Questi con grande gioia ci correrà incontro al suo arrivo. Vivere in pienezza queste settimane favorirà che per noi il Natale non sia un solo giorno segnato sul calendario passato il quale ogni cosa tornerà al suo posto e si potrà tornare alla vita di sempre; piuttosto un Avvento vissuto con reale profondità avrà come frutto che il Natale possa protrarsi ad oltranza nei vari aspetti della nostra vita. Siamo esortati ad impegnarci nella vita di tutti i giorni senza distoglierci certo dalle occupazioni quotidiane, e tuttavia a vivere ogni giornata con uno spessore più denso di contentezza e di soddisfazione, proprio come quando si attende un graditissimo ospite riassettando la casa al meglio per lui. Le pagine liturgiche di questa prima Domenica di Avvento ci ragguagliano però anche di un'altra verità: l'attesa del Signore non è soltanto quella celebrativa e ravvicinata del 25 Dicembre, ma è anche una costante dell'intera esistenza cristiana: attraverso un linguaggio plastico e apocalittico si descrivono eventi catastrofici che riguarderanno il saccheggio di Gerusalemme e la devastazione del tempio (70 d.C.) ma che interesseranno anche tutti gli uomini quando, all'epilogo di questa storia, Gesù tornerà nuovamente per la resa dei conti e per l'istaurazione del mondo rinnovato. Fino ad allora siamo incentivati a vivere la speranza e la concentrazione in un'attesa creativa e motivata, perché quello finale con il Veniente sia anch'esso un incontro e non passiva subordinazione. Viviamo adesso il "frattempo" della storia nell'attesa che si realizzi la promessa del ritorno definitivo del Signore e che la speranza sia compiuta per noi e a caratterizzare questo Avvento definitivo dell'arrivo e dell'attesa è sempre la ricchezza interiore favorita dalla gioia di lavorare costantemente di zelo e di buona volontà. |