Omelia (01-12-2024) |
don Alberto Brignoli |
Su la testa! Chissà se oggi il maestro Sergio Leone, qualora fosse ancora vivo e decidesse di fare un remake del suo capolavoro "Giù la testa" deciderebbe di ambientarlo ancora nel 1913, durante la rivoluzione messicana... Credo che gli risulterebbe molto più semplice - e ovviamente più attuale - ambientarlo in una qualsiasi delle sale d'attesa delle stazioni delle nostre città, oppure nei pressi delle pensiline degli autobus: invece dei suoi famosi primi piani che fissano la telecamera sullo sguardo del cattivissimo James Coburn, penso che "zoomerebbe" l'obiettivo sulle nuche dei presenti, piegate come giunchi sugli schermi degli smartphone e dei tablet. Descriverebbe così nel migliore dei modi la nostra società attuale: immersa nel proprio silenzio o nell'isolamento degli auricolari - per cui non ci sarebbe nemmeno bisogno di scomodare il grande Morricone per un inutile sottofondo musicale - è talmente concentrata su se stessa e su quel prolungamento del corpo che la tecnologia oggi mette in mano a tutti, da aver creato una nuova patologia, non solo nel senso della dipendenza psicologica, ma anche dal punto di vista fisico. Ho scoperto in questi giorni che questa malattia si chiama "teck neck", ovvero il dolore cronico al collo e alla zona cervicale causato proprio dall'eccessivo uso dei nuovi mezzi portatili di comunicazione sociale. Pare ne soffra il 60% degli italiani tra i 18 e i 45 anni: oltre i 45 anni non si contano nemmeno più, perché poi subentra il famigerato "fattore cronologico"... Questa premessa un po' goliardica era per dire che oggi, di gente che va in giro "a testa alta", alzando lo sguardo, se ne vede gran poca. E forse tutti quanti, nel mondo, avremmo davvero bisogno di tornare ad alzare lo sguardo... Troppa gente, al mondo, è costretta a vivere con lo sguardo abbassato a terra, e non solo per via dell'uso più o meno consapevole degli smartphone. Non è poi così infrequente avere per padre un padrone, per marito un despota, per datore di lavoro uno sfruttatore, per amico un arrivista: e in queste situazioni, "alzare la testa" per recuperare la propria dignità personale non è affatto semplice, perché spesso chi ne è vittima è costretto a soffrire in silenzio per evitare mali peggiori, per sé e per i propri cari. Per non parlare di quelle situazioni di oppressione che impediscono a intere popolazioni di andare in giro "a testa alta", con dignità e fierezza, perché oppresse dalla dittatura del terrore e della guerra, o da quella più subdola ma non meno opprimente del libero mercato, che tutto è fuorché generatore di libertà. A tutta questa umanità dal capo abbassato è oggi rivolta la parola forte del Vangelo che inaugura il Tempo di Avvento e anche il nuovo Anno Liturgico, che trascorreremo in compagnia del Vangelo di Luca: "Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Già da alcune settimane i vangeli che ascoltiamo sia nelle messe domenicali che in quelle feriali, ci presentano la descrizione di un avvenimento storico, ovvero la caduta di Gerusalemme nel 70 dopo Cristo, che oltre a rappresentare una catastrofe umanitaria ha voluto pure segnare la fine di un sistema, il sistema religioso basato sullo strapotere del tempio, un sistema religioso che sottometteva i più deboli (ricordiamo la povera vedova di qualche domenica fa) e il cui connubio con il potere politico faceva comodo e dava sicurezza a chi comandava. Il crollo di questo sistema porta chi vive di questo potere a "morire per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte". Chi del potere ha fatto la propria ragione di vita vedrà, nel vuoto di potere, il crollo definitivo delle proprie certezze. Ma per il discepolo, non può essere così, anzi: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, - dice Gesù - risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". Il messaggio del Vangelo di oggi, allora, apparentemente così pieno di elementi angoscianti, è in realtà un messaggio di grande speranza, così come lo è tutto questo Tempo di Avvento che oggi inauguriamo, e come lo sarà il Giubileo ormai alle porte, il cui tema è proprio quello della speranza. L'Avvento è fondamentalmente un tempo di attesa: e ogni attesa, per quanto ansiosa e incerta possa essere, è in sé ricca di speranza, perché si spera che ciò che si attende sia immensamente più grande di ciò che si soffre per ottenerlo, così come la gioia e l'attesa per un bimbo che sta per nascere caricano la futura madre di una speranza così forte che mette in secondo piano la sofferenza del parto che l'attende. Oggi è l'umanità intera ad essere chiamata a partorire una nuova vita: questa umanità così spesso costretta a vivere con lo sguardo abbassato a terra a causa di crisi economiche, di crisi geopolitiche, di crisi religiose, di crisi di convivenza tra i popoli, di crisi familiari, di crisi esistenziali, e chi più ne ha, più ne metta. Il Tempo di Avvento, così carico di speranza, ci apre dinanzi un'altra prospettiva: quella di alzare lo sguardo, di contemplare un cielo che sa ancora stupirci per la sua limpidezza, di sperare che l'ombra di morte che ci circonda non sia più grande della luce che portiamo nel cuore; di assaporare la speranza che, in fondo, far parte di questa umanità non è poi così male, perché esiste sempre la possibilità che per tutti noi possa "germogliare un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra". |