Omelia (13-06-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 5, 27-32

Il brano di Matteo 5,21-48 è strutturato su sei antitesi: "fu detto/ io però vi dico". In realtà non sono antitesi. Gesù non propone una legge diversa, come appare chiaro dal v.17: "Non sono venuto ad abolire, ma a compiere la legge e i profeti". La legge non è nuova, ma antica. Il compimento però è nuovo: nessuno l'ha mai proposta e osservata in questo modo, che è quello del Figlio di Dio.

Gesù non contraddice quanto è stato detto, ma lo chiarisce e passa dalle semplici azioni ai desideri del cuore, da cui tutto promana. Ma ciò che dice non è un'imposizione legalistica, ancora più severa della precedente. E' invece la "buona notizia" di ciò che Dio opera in noi mediante queste stesse parole che hanno il potere di compiere ciò per cui sono state mandate. Vanno intese quindi non come un "codice" di leggi bellissime ma disumane, bensì come rivelazione e dono della vita stessa del Padre per noi.

I vv.27-32 di questo brano trattano il tema del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio. Gesù insegna che non basta evitare ogni attentato esterno al matrimonio (l'adulterio consumato), ma che bisogna precludere la via agli appetiti sessuali evitando le occasioni che possono svegliarli (lo sguardo) e i contatti pericolosi (la mano).

Il verbo desiderare (in ebraico hamad) esprime un reale compiacimento e una vera decisione peccaminosa e non un semplice sentimento o pensiero; vuol dire impadronirsi e prendere con prepotenza e quindi comporta atteggiamenti esterni. Ma Gesù va oltre. A Dio interessano i sentimenti, la purezza dei pensieri, la rettitudine della volontà. Perché può accadere che un contegno esteriore irreprensibile nasconda una profonda corruzione nel cuore. Esterno e interno devono corrispondersi, pena la doppiezza di vita e la falsità.

L'adulterio non avviene per caso, ma viene preparato nel cuore. Un detto rabbinico dice: "L'occhio vede, il cuore desidera, il corpo commette il peccato". Rabbì Laqish asseriva: "Tu non devi dire che solo colui che viola il matrimonio con il corpo è adultero, lo è anche chi lo viola con gli occhi".

Il comando di Gesù di cavarsi l'occhio destro (quello preferito) e di tagliarsi la mano destra (la migliore) vuol dire che può essere necessario sacrificare una parte preziosa di sé per evitare la perdita totale e definitiva di tutto se stesso.

Il comando di rilasciare alla donna ripudiata un atto di ripudio è enunciato nel Libro del Deuteronomio 24,1-3. L'atto di ripudio doveva garantire alla donna la certezza giuridica e tutelarla dall'accusa di adulterio nel caso si fosse risposata. Il ripudio della moglie viene respinto da Gesù e condannato come adulterio, e la responsabilità ricade sul marito che ripudia la moglie e sull'uomo che sposa la donna ripudiata.

L'espressione "eccetto il caso di concubinato" ha avuto numerose proposte di soluzione. Quella accolta dalla tradizione della Chiesa cattolica intende il termine greco pornéia, qui tradotto con il termine concubinato, nel senso di matrimoni tra consanguinei.

In concreto: nel caso risulti che la moglie è congiunta al marito con vincoli di parentela entro i gradi proibiti dal Libro del Levitico 18, 6-18, il marito avrebbe non solo la possibilità, ma il dovere di ripudiarla. Anche nel decreto apostolico degli Atti 15,28-29, pornéia sembra avere questo significato: matrimonio tra consanguinei.

Il matrimonio tra consanguinei era abbastanza frequente presso i pagani. L'eccezione di Matteo forse riflette una situazione presente nella comunità cristiana primitiva dove si ricorreva con troppa disinvoltura al privilegio paolino (1Cor 7,12-16; cfr Lv 18,6-18) e quindi si abbandonava con facilità la moglie con cui si viveva prima della conversione al cristianesimo.

Matteo ribadisce che un cristiano può e deve abbandonare la propria moglie solo nel caso in cui egli provenga da un matrimonio con una consanguinea o da uno stato di poligamia, che la legge cristiana riteneva illegittimo e illecito, e per questo da sciogliere.