Omelia (05-03-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La Quaresima - Convinzione Nei tempi di formazione qualcuno mi disse che, mentre in genere lo si fa' cominciare dall'Annunciazione e dalla nascita di Gesù, il Vangelo propriamente detto ha inizio in realtà da questa frase di Gesù: "Il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credere al Vangelo". Con la persona di Gesù Cristo, le sue parole e le opere di misericordia che attestano l'amore del Padre, è giunta infatti a noi la novità del Regno, che vuole costituire la nuova dimensione vitale, il contesto rinnovato di pace, di giustizia e di benessere materiale che si apporta negli atti di Gesù; il Regno di Dio non ha ancora il suo compimento definitivo: lo si vedrà realizzato soltanto alla fine dei tempi, quando Cristo ritornerà vittorioso sul male per la vittoria definitiva e il premio dei giusti, tuttavia Esso è giù presente e si innesta nella storia dell'uomo: si insinua nelle branche della nostra società per rinnovarla e renderla più giusta, pacifica, solidale e conforme ai progetti divini di salvezza. Il Regno di Dio è infatti Dio stesso che è Signore e che attua nelle parole e nelle opere di Gesù, le quali sono amore, misericordia, mitezza e costanza nella fede e nella carità e bastano gli episodi evangelici intorno a Lui a rendercene l'idea. Ma che questo Regno si sia instaurato non è sufficiente. Occorre che lo si accolga deliberatamente, attraverso l'apertura del cuore e la disposizione del cuore, che si affidi interamente se stessi alla sua realtà e alla novità di ricchezza che lo caratterizza e che lo si accetti volentieri rinunciando a posizioni di comodo e a vane e gratuite convinzioni personali. In una parola, occorra che al Regno di Dio ci si converta. Anzi, la conversione è condizione fondamentale perché si creda nel Regno di Dio e non si potrà mai essere sicuri di aver fede o di credere fino a quando non ci saremo convertiti. E questa è la radice delle nostre lacune e delle debolezze spirituali che subentrano nelle circostanze insostenibili della nostra vita in cui la fede sembra essere messa in crisi o addirittura vacillare, come nei casi di un grave lutto improvviso o di una spiacevole esperienza. In casi come questi non di rado si cede allo sconforto, la prova del dolore sembra insuperabile e vi è chi giunge alla conclusione che sia inutile ogni ricorso a Dio e alla preghiera, e addirittura si mette in discussione la stessa esistenza di Dio. "Non ho più fede"; "Dio non esiste", "Ho perso la fede"; queste sono le affermazioni con cui si è soliti molto spesso trarre le conclusioni in circostanze difficili come quelle del tipo appena menzionato o quando siamo costretti a subire inevitabilmente le ingiustizie da parte degli altri, o siamo costretti ad assistere a immeritate vittorie da parte di chi non lotta o agisce con rettitudine; di "avere più fede" capita anche a coloro che hanno subito una grossa delusione o un'ingiustizia da parte del loro parroco o che hanno fatto esperienza diretta di ripetuti scontri con dei sacerdoti il cui pessimo esempio ha scoraggiato la frequenza dei Sacramenti. Tutte circostanze nelle quali noi pastori si è chiamati ad esercitare molta pazienza e comprensione nei confronti di persone che soffrono e vivono patemi d'animo insostenibili, a volte destinati a cedere al baratro della disperazione; ma non si può in questi casi omettere di considerare che la fede in realtà non si sta coltivando e alimentando nella preghiera e nella speranza, oppure... che "non la si era acquisita affatto". E questo per il semplice motivo che non ci si era preventivamente "convertiti", cioè non ci si era convinti del Signore in tutti i casi e in tutte le circostanze. Come pretendere infatti di avere fede senza prima aver acquisito piena coscienza dei contenuti del nostro credo, per i quali non sempre si danno benefici ma si chiede di subire appunto lotte e vessazioni, sia pure ricompensate? Come si potrà sperare nel Signore e riporre in lui la nostra fiducia se non si sarà presa coscienza del valore della persecuzione e della CROCE dello stesso Gesù, nella quale si trova il reale fondamento del nostro soffrire? La conversione è un itinerario di riscoperta del Signore, raggiungibile solo attraverso una piena maturazione della coscienza e delle convinzioni che induca a trasformare la nostra mentalità, distogliendola da quello che è prettamente umano e orientandola verso Dio, riconosciuto come unico garante della nostra vita e della nostra gioia anche nelle circostanze di avversità e di vacillamento; essa insomma riguarda una radicale trasformazione di noi stessi in virtù di una piena convinzione della priorità dei divino e della vacuità dell'umano, che interpella cuore, mente e corpo e qualifica i nostri atteggiamenti. E tale è il cammino della Quaresima che ci accingiamo ad intraprendere in queste settimane che ci separano dalla Pasqua: un itinerario di conversione = convinzione di Dio per una fede capace di renderci saldi e determinati nel vissuto di tutti i giorni per meritarci la gloria della Resurrezione nelle meritate ricompense. Le astinenze e i digiuni prescritti dalla Liturgia ci aiuteranno a comprendere il valore della rinuncia a noi stessi perché Dio abbia spazio primario nella nostra vita e le mortificazioni e le rinunce che ci si chiederà di affrontare con convinta determinazione incentiveranno l'esaltazione dello spirito per una piena coscienza di Dio e ad incoraggiarci in tutto questo processo sarà la pedagogia di vita dello stesso Signore Gesù Cristo, specialmente nella sua volontaria prostrazione alla tentazione dei 40 giorni nel deserto: che cosa suggerisce la scena evangelica a cui stiamo assistendo se non lo stato di precarietà e di assoluta privazione che il Signore ha voluto scegliere deliberatamente per affrontare paurose tentazioni alle quali, in determinate situazioni frustranti come sole, caldo, fame... non è illogico che si possa cadere? Quale insegnamento potrebbe derivarci se non quello della costanza nel dolore e nelle privazioni, sull'esempio dello stesso Cristo che volle affrontare tanta e tale prova? Quaranta nella Bibbia è un numero significativo, poiché attesta ad un periodo lunghissimo nel quale si vivono drammatiche prove, umiliazioni e vessazioni necessarie perché si possa giungere alla gioia e al guiderdone e per noi indicherà il necessario tempo della convinzione di Dio nell'accettazione di eventuali disfatte per la realizzazione del Regno di Dio nella nostra vita e nella nostra storia. |