Omelia (15-12-2024)
don Alberto Brignoli
Che cosa dobbiamo fare? Essere onesti!

Di fronte all'atteggiamento delle autorità religiose del tempo di Giovanni il Battista (e di Gesù, ovviamente) ci viene spontaneo usare l'espressione forte del profeta Sofonia: ti fanno cadere le braccia! E per fortuna che oggi non vengono citate: se ne guardavano bene dall'avvicinarsi al Battista, il quale, quando ha avuto modo di trovarsi a tu per tu con alcuni farisei e sadducei, la parola più bella che ha rivolto loro è stata "razza di vipere"... Però, c'è davvero da considerare come deprimente il fatto che nessuna delle autorità religiose di allora si rivolge a Giovanni il Battista per chiedergli come intraprendere un serio cammino di conversione in vista dell'arrivo del Messia, ritenuto da Giovanni ormai imminente.
Tre sono, infatti, i gruppi di persone che si rivolgono a Giovanni nel brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, e nessuno dei tre appartiene a una categoria religiosa: ci sono le non meglio precisate "folle" (e dal momento che "farisei" significa "distinti", di certo quelli non si confondevano nell'anonimato di una folla), i pubblicani (notoriamente poco raccomandabili da un punto di vista della moralità e della pubblica onestà) e i soldati (quasi certamente pagani, se erano al servizio di Roma, ma comunque noti per la loro violenza). Perché sono loro a rivolgersi a Giovanni e non invece coloro ai quali era direttamente rivolto l'invito a preparare la strada al Messia in quanto suoi "rappresentanti"?
Forse era dovuto al fatto che la predicazione del Battista era molto diversa da quella che si era soliti ascoltare dalle autorità religiose del tempo. Per Giovanni, infatti, non era sufficiente avvicinarsi alla Parola di Dio attraverso l'osservanza della Legge di Mosè e della pratica religiosa: dopo aver ascoltato e accolto la Parola di Dio occorre sempre passare a comportamenti che siano la concretizzazione reale, visiva, della nostra professione di fede. Se la fede rimane un assenso puramente concettuale e teorico ad alcune verità rivelate, e non incide profondamente anche su uno stile di vita concreto, serve a poco. Queste tre categorie di persone, forse non così immediatamente vicine a un cammino di fede, hanno colto che l'annuncio di Giovanni è un annuncio nuovo, pieno di speranza, e di conseguenza sono desiderose di sapere come ci si debba comportare perché dalla fede si arrivi alla prassi di vita. E lo dimostrano con questa loro domanda: "Che cosa dobbiamo fare?".
Colpisce il fatto che nessuna delle tre risposte di Giovanni invita a un'intensificazione delle pratiche di preghiera e dei sacrifici offerti al tempio, o all'osservanza rigorosa della Legge di Mosè. Il tema essenziale della prassi religiosa proposta dal Battista è un cambio di atteggiamento nei confronti delle persone, quindi qualcosa che punti a creare relazioni umane più giuste. Le folle sono invitate a condividere cibo e vestiti, i pubblicani a non esigere più del dovuto nella riscossione delle tasse, i soldati a non abusare del loro potere o a bramare guadagni maggiori.
La strada del cambiamento di vita è tracciata in modo preciso da Giovanni: non c'è vera conversione, non c'è vero ritorno a Dio dove non c'è ritorno all'uomo, ovvero, dove non ci si preoccupa innanzitutto di ricreare relazioni più umane. E quel che più sconvolge, in tutto questo, è che l'attenzione di Giovanni è rivolta a categorie (in particolare i pubblicani) che non erano certamente stimate dall'opinione pubblica. Essi, così come i soldati e tutti coloro che erano al servizio dei potenti, erano irreversibilmente segnati dall'impurità, dalla dannazione: erano persone ritenute da tutti ormai prive di alcuna possibilità di riscatto. Invece, nella predicazione del Battista c'è spazio anche per loro, per di più senza che venga loro richiesto (cosa a loro ormai impossibile) l'abbandono della loro professione, immorale l'una e violenta l'altra, ma attraverso quantomeno l'osservanza di una minima regola di giustizia ("Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato"; "non maltrattate e non estorcete niente a nessuno").
Il Regno di Dio annunciato da Giovanni assume, secondo i canoni delle autorità religiose del suo tempo, le fattezze di uno scandalo, di un insieme di persone raccogliticce che altro non meriterebbero se non di essere bruciate nel fuoco della Geenna, come si diceva allora.
Anche oggi, con troppa facilità, all'interno della comunità di fede del nuovo Israele, ovvero la Chiesa, da parte di molti che si considerano "integri" nella fede, assistiamo ad atteggiamenti pregiudiziali e pieni di condanna verso categorie ritenute "fuori dai canoni della fede", magari solo perché lontane dalla comunità, o perché hanno avuto una vita piena di fallimenti o perché non in piena comunione con ciò che la Chiesa esige per essere e dirsi "perfetti cristiani"...
Anche Giovanni parla di "fuoco che brucia", quando - annunciando l'arrivo del Messia - lo presenta come un fuoco inestinguibile che brucerà definitivamente la paglia separata dal grano buono: ma per poter essere grano buono, non è sufficiente dirsi credenti; occorre dimostrarlo con uno stile di vita basato sul rispetto e sulla giustizia.
Giovanni stesso, poi, andrà in crisi, perché il Messia da lui annunciato sarà ancor più misericordioso e accogliente con i "pubblici peccatori" di quanto egli lo fosse già stato. Ma la grandezza di questa "voce che grida nel deserto" si manifesterà attraverso l'umiltà di riconoscere che chi verrà dopo di lui è più forte di lui, ed egli non è neppure degno di farsi suo servo.
Di fronte a persone di fede di questo calibro, sono certo che anche il profeta Sofonia non si sarebbe lasciato cadere le braccia. E permettetemi di dire che, nella Chiesa, abbiamo grande nostalgia di profeti come il Battista...