Omelia (15-12-2024)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Marco Simeone

Quest'anno è un avvento ancora più "fast and furious" perché la solennità dell'Immacolata ha assorbito la 2ª domenica di Avvento e quindi abbiamo avuto una tappa in meno, ma come sempre è la Provvidenza che guida il nostro cammino.
Siamo arrivati in quella che è detta la domenica Gaudete -espressione presa dall'antifona d'ingresso- dove domina la gioia e, addirittura, si possono indossare paramenti più distensivi di un colore rosaceo, insomma la gioia deve essere annunciata a tutti e, prima di tutto, a noi.
Sì, perché siamo un pezzo avanti del cammino (pur breve) e la luce del Natale ci viene incontro, e allora sono due le due tematiche di questa domenica che si intrecciano e si richiamano a vicenda: la gioia e la conversione.
La gioia viene annunciata partendo dalla prima lettura: dopo oracoli di condanna contro l'idolatria religiosa e contro gli oppressori, il Profeta Sofonia annuncia la salvezza di Dio. La situazione era complicata: politicamente, socialmente e, ovvio, religiosamente parlando; diciamo che il compromesso era all'ordine del giorno (anche allora c'erano le mode, la voglia di mischiare le carte per fare quello che più gli aggradava, la voglia di stare bene a tutti i costi). L'annuncio della gioia era ovviamente rivolto a tutti, ma non era per tutti: perché qualcuno in quel macello ci si trovava bene, aveva trovato la propria nicchia. Allora la conversione, l'altro elemento, entra in gioco: per chi è l'annuncio della gioia? Della salvezza?
Per chi ci soffriva in quella situazione.
Per capirci, se uno sta male e va dal medico, gli chiede di togliergli il dolore o di guarire? Chi spingeva ad adorare milcom o assur (divinità assire) era cattivo? Ovviamente no, voleva solo stare bene, perché prima o poi lo trovo qualche Dio che faccia la MIA volontà...
Sofonia annuncia che la salvezza è in azione perché il Signore in persona è in mezzo al popolo per salvarlo: ha messo in fuga i suoi nemici ed ora lo rinnova col suo amore. Se mi metto nei panni di chi vuole lo status quo perché ci si trova bene, allora questa è una salvezza da soffocare ad ogni costo (Erode docet), ma chi ha il coraggio di ammettere di avere fame, di stare male, di non sentirsi affatto libero, per loro questo è un canto di gioia e di vittoria.
Allora si capisce il vangelo in cui le categorie meno religiose (si va dal più credente al meno) vanno da Giovanni a chiedergli cosa devono fare: capiamoci, non esiste nostra azione che meriti la salvezza, il nostro fare ci dispone a lasciarci salvare. A ben pensarci a queste 3 categorie gli viene proposto il bene possibile: alle folle di condividere, ai pubblicani di essere giusti e ai soldati di non essere inutilmente violenti. Le folle erano i credenti all'acqua di rose, erano quelli che non appartenevano ad alcun gruppo religioso, a loro gli viene chiesto di ritornare all'origine e di sentirsi parte di quel popolo di salvati dal Signore, dove ognuno è fratello e condivide la Provvidenza di Dio (avere 2 tuniche significava poter non temere il freddo). Ai pubblicani (collaborazionisti dei romani che raccoglievano le tasse con una certa "libertà e creatività") la richiesta dell'onestà è contenere la cupidigia e la vendetta (perché nessuno li amava) e lavorare perché anche in uno stato di cose ingiusto si può essere operatori di giustizia. I soldati romani non erano certo noti per la delicatezza, ma non estorcere e non approfittarsi della violenza significa arginare la prepotenza e la rabbia. Ad ogni categoria gli viene messo davanti un obiettivo possibile e evidente, da una parte per farli tornare ad essere popolo, fratelli tra fratelli, dall'altra parte ognuno sapeva che quello che Giovanni stava dicendo era profondamente vero; quello che fa Giovanni è dare la speranza certa che c'è spazio di manovra, che ne vale la pena, che Dio non li ha maledetti, anzi...
Giona direbbe che forse il Signore potrebbe cambiare idea (cfr. il re di Ninive).
Ovviamente qui c'è di più: loro si comportano "bene" perché sta arrivando Qualcuno capace di donare loro lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo non è il castigamatti ma Colui che fa verità nell'amore e dona la forza di ricambiare l'amore del Padre, certamente non sta lì buono buono in mezzo al peccato. Perché l'amore fa verità: distingue tra ciò che ha valore e ciò che non lo ha, tra grano e pula. Per chi vuole il grano arriva chi ci rende capaci di far frutto, di vivere in modo nuovo. A chi piace la pula farà l'esperienza dolorosa dell'essere vano, effimero, roba che vola via senza lasciare traccia. L'opera di Dio è quella di liberarci e parte integrante è imparare a distinguere bene e male, a riconoscere quando dentro di noi lo Spirito Santo ci fa sentire il dolore di stare lontano da Dio e la voglia di corrergli incontro, per vivere da figli suoi.
La seconda lettura con semplicità mostra la via a chi quella salvezza l'avrebbe già sperimentata: noi che oggi siamo in chiesa. Sì perché la, salvezza è entrata nella nostra vita con un segno chiaro e inequivocabile: quando siamo stati battezzati. Allora fare il nostro per noi è vivere la salvezza che ci è stata donata, quella salvezza che produce la gioia, quella gioia che non si spegne al primo vento di difficoltà, è per chi non si lascia strappare dall'abbraccio misericordioso di Gesù.
Un passo dice che il Signore la sua Legge non l'ha nascosta in fondo al mare o nell'alto dei cieli, ma l'ha messa nel profondo del nostro cuore (Dt 30,11-14), perché possiamo scegliere e camminare e crescere da Figli.
Buon cammino