Omelia (09-12-2024)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Lc 5,17-26

Come vivere questa Parola?

Gesù senz'altro sarà rimasto ammirato: non può non esserlo di fronte a chi sa spendersi con tanto amore e creatività. Ed è vedendo, non la fede del paralitico, ma la fede dei suoi amici, che lo guarisce. La prima cosa che dice a quest'uomo è: « Ti sono rimessi i tuoi peccati». Rimettere i peccati è la guarigione principale, perché il peccato è la nostra prima paralisi, perché ci fa ripiegare su noi stessi, chiudendoci nell'egoismo, nell'orgoglio, nell'invidia, in tutti quegli aspetti che, invece di far fiorire la nostra umanità, la bloccano. Il paralitico riceve il perdono e la guarigione, e senza aver detto e fatto niente. Questo è il miracolo frutto della fede creativa di un gruppo: un gruppo che sa mettere in moto le energie e i talenti di ciascuno, proprio come dovrebbe essere ogni comunità e ogni famiglia, dove abbiamo il grande dono, oltre che di portare, anche di essere portati. Gesù coglie non solo la solidarietà e la gratuità con cui quegli uomini aiutano quel malato, ma addirittura la loro fede. La guarigione non avviene per la fede del paralitico, ma per la fede di chi porta la barella del paralitico. Noi possiamo chiedere a Dio la guarigione dei nostri fratelli. Non importa se lui o lei credono, Dio guarda la nostra fede. In quel paralitico sono racchiuse tutte le nostre difficoltà, i disagi del mondo giovanile, che chiede di essere ascoltato e di costruire un futuro più bello. E' bello poter pensare agli amici, come a coloro che ti aiutano a camminare, a liberarti da paure che ti bloccano e lo fanno conducendoti da qualcuno che sa come aiutarti. Ecco il senso dell'amicizia tra coloro che credono: aiutare a crescere e ad aprire il proprio cuore, "scoperchiare" il tetto della propria vita, perché possa entrare la sua Parola


Signore Gesù fa' che possiamo scoperchiare i nostri tetti e venire a te con fiducia, liberarci da paure e compromessi, rimetterci in piedi, perché siamo chiamati tutti a risorgere.

Non più paralisi di parole e di gesti, ma una vita che sappia comunicare cose prodigiose, che sappia indicare Te come il maestro e il medico necessario dinanzi ad ogni forma di chiusura e di sofferenza.


La voce di un monaco

Nella luce pasquale, ciascuno di noi vorrebbe sentirsi ripetere quell'invito a risorgere: «Alzati e cammina!», per destarci dai nostri torpori, dalle nostre trame di paura, di sconfitta, di paralisi, di sofferenza, per ricominciare a camminare, per riscoprire il senso e la direzione dei nostri passi, per uscire dalla nostra immobilità, per andare incontro alla vita, trascinando dietro di noi la nostra barella, memoria del nostro passato di infermità, ormai inutile.

Fratel Emanuele, monaco di Bose
Sr. Gisella Serra - Gisel.serra@gmail.com