Omelia (22-12-2024)
don Giacomo Falco Brini
Dio in un saluto

Giunti oramai alle porte del Natale e alla porta santa da aprire per l'inizio del Giubileo per l'anno del Signore 2025, non poteva esserci miglior vangelo che quello della celebre visitazione di Maria ad Elisabetta per prepararci e introdurci al mistero della gioia divina, che sarà comunicata alla chiesa come grazia e dono in questi prossimi giorni. Maria, visitata dallo Spirito Santo, si muove rapida e decisa per visitare Elisabetta, a sua volta visitata dalla bontà divina con il dono di una impensabile gravidanza. Nell'icona evangelica che ci sta davanti, vediamo il Nuovo Testamento incontrarsi con l'Antico, la realizzazione delle promesse di Dio con la sua profezia, l'annuncio del compimento con l'attesa di tutte le attese. Il giubilo di Dio avvolge profondamente le due donne in un reciproco stupore pieno di gratitudine che, dopo le parole di Elisabetta, esploderà nel "magnificat" di Maria. Una gioia talmente diversa dalle gioie di questo mondo, da rendere Maria capace di riempire di Spirito Santo e di far trasalire di gioia, con il suo solo saluto, non solo sua cugina, ma persino il piccolo Giovanni che si sta formando nel suo grembo. Gesù appena concepito nel suo utero, è la gioia trasbordante di Maria.
Credo che la chiesa debba sempre guardare questa icona per identificarsi con Maria che annuncia la gioia della presenza di Dio con il suo semplice saluto. Credo debba sempre interrogarsi se nelle sue parole e nei suoi gesti riesca a comunicare questa gioia. Infatti, troppe volte mi capita di sentire, all'interno dei rapporti umani ed ecclesiali, la voce di chi, ferito dal male subito da qualche fratello o sorella nella fede, giunge a togliergli il saluto, oppure chi mi dice di non riuscire a comprendere come mai il tale o la tale si giri dall'altra parte e non lo saluti più. Non posso tacere e ricordare a tutti che, dopo l'incarnazione di Dio, anche noi con un saluto o una mancanza di esso possiamo dare la vita o la morte. Dentro di noi c'è lo stesso Spirito Santo che mosse Maria: lo possiamo seguire ed obbedire oppure contristare con le nostre decisioni. Ricordo ancora quel giorno che fui chiamato ad andare in un ospedale per una richiesta del sacramento dell'unzione degli infermi. La persona malata si trovava in un reparto di oncologici terminali. Quando giunsi alla porta di quel reparto incrociai subito il mio sguardo con quello di una infermiera che, vedendomi entrare in clergyman e forse salutarla così volentieri, subito cambiò espressione nel suo volto ed esclamò: "venga, entri pure padre, sia lei benvenuto e benedetto, che porta vita in questo luogo spesso così triste e pieno di morte". Non potrò mai dimenticare quella reazione e la meditazione che ne feci successivamente.
In un corso speciale sui dieci comandamenti che predichiamo, alla 5a parola che recita "non uccidere", spieghiamo che il suo senso più autentico non è semplicemente l'imperativo di non commettere omicidio fisicamente, ma è piuttosto il comando di amare sempre, in qualsiasi circostanza, poiché il non amare dell'uomo è sempre apportatore di morte. Insomma, anche se tendiamo a non crederci fino in fondo, non amare l'altro significa sempre in qualche modo ucciderlo. Del resto, tanti omicidi reali cominciano sempre così, a partire dall'amore che si spegne nel cuore, dalla pace che si perde e dalla luce che svanisce nell'intelletto. Siamo sempre molto abili a giustificarci e a non volerlo comprendere. Non esiste un'azione umana che ci garantisca una zona "franca", neutrale. I nostri gesti o danno vita agli altri o gliela tolgono. Le nostre decisioni o ci aprono agli altri o ci chiudono nel nostro egoismo. Un ultimo, semplice appunto, offerto come piccola regola di discernimento. Elisabetta mossa dallo Spirito Santo proclama beata la Vergine Maria perché ha creduto alla parola che il Signore le ha detto. Quando Dio ci visita, se crediamo a quello che ci dice, ci riempie di gioia. Se invece non gli crediamo, diamo fiducia alla menzogna che ci suggerisce il maligno, la quale ci riempie di angustia e tristezza. Dunque, quando per qualche vecchia ruggine o conflittualità difficile da sciogliere giungiamo a privare del nostro saluto una persona, il nemico è ormai alla porta del nostro cuore, se non vi è già entrato.