Omelia (22-12-2024)
don Alberto Brignoli
La fede silenziosa e semplice di Elisabetta

Il Vangelo di quest'ultima domenica di Avvento, dal sapore prettamente natalizio, ci racconta di un incontro affascinante, ricco nella sua descrizione (pensiamo anche solo al cantico del Magnificat che lo segue) ma anche scarno di particolari, dal momento che sorvola sui tre mesi trascorsi da Maria in compagnia di Elisabetta, in modo particolare nel momento della nascita di Giovanni, a cui possiamo immaginare che Maria abbia assistito.
Che cosa si saranno dette quelle due donne durante i momenti trascorsi insieme? Come avranno commentato, tra di loro, ciò che stava avvenendo "dentro" le loro storie? Che cosa avranno detto di questo Dio manifestatosi a loro e ai loro mariti in modo così particolare? Tra l'altro, dei quattro coniugi, solo Elisabetta è quella che non riceve - stando ai Vangeli - alcuna rivelazione divina riguardo la sua maternità: eppure, è quella che più degli altri tre sperimenta su di sé la grandezza della potenza di Dio, in quanto vecchia e sterile.
Sembra quasi che per lei la gravidanza sia stato, sì, un fatto inaspettato, ma comunque vissuto e sperimentato in maniera molto ordinaria, rispetto a Maria. E forse, è proprio questo che rende Elisabetta ancor più vicina a noi, a quella parte di umanità che, senza clamori né eclatanti rivelazioni, continua a credere con insistenza e a sperare contro ogni speranza, confidando solo nella misericordia di Dio.
Elisabetta ha qualcosa di particolare che la rende molto più simile a noi: ed è l'ordinarietà e la quotidianità della sua esistenza e del suo modo di vivere la fede, il suo nascondimento messo in atto dal momento in cui scopre di essere incinta (rimase nascosta cinque mesi, ci dice Luca), il suo sentirsi un nulla di fronte alla grandezza della cugina più giovane (atteggiamento che trasmetterà a suo figlio, il quale lo ripeterà nel suo rapporto con Gesù), la sua insistenza a rimanere fedele alle promesse di Dio nel momento in cui dovrà dare al proprio figlio il nome di Giovanni, contro il parere della tradizione e della legge.
Una donna forte, coraggiosa, tenace, come molte presenti nella storia dell'umanità, che senza fare rumore intorno a sé hanno scritto pagine di vita vissuta e di fede professata di fronte alle quali noi siamo veramente poca cosa. E tra esse, ci mettiamo molte delle nostre mamme e delle nostre nonne, che hanno sperimentato la sofferenza e il dolore sulla propria pelle, e hanno sempre risposto con un "sì" anche quando tutto intorno a loro diceva "no". Elisabetta è madre di quell'umanità umile ma talmente amata ed esaltata da Dio, da essere considerata il vertice più alto della Creazione ("tra i nati di donna, non ne è sorto uno più grande di Giovanni il Battista", dirà Gesù), proprio a causa della sua umiltà.
Se guardiamo al cammino fatto nel Tempo di Avvento, quest'anno particolarmente breve, ci rendiamo conto di come non ci potesse essere conclusione più appropriata che quella dell'incontro con la figura di Elisabetta. In una umanità sconvolta per ciò che continuamente accade nel mondo (le drammatiche notizie di guerre e distruzioni dei nostri giorni sembrano riportarci alle terrificanti immagini della Liturgia della Parola della 1ª domenica), lo Spirito di Dio pervade la vita non dei grandi della storia o dei potenti di turno, ma degli umili, come la fanciulla di Nazaret che si sa fidare di Dio e che è capace di far risuonare nella sua esistenza l'onnipotenza di Dio (2ª domenica). È di quest'umanità, capace nonostante tutto di vivere nella pazienza senza lasciarsi cadere le braccia (3ª domenica), che Dio si serve per rivelare il suo messaggio di salvezza, e lo fa nonostante sia un'umanità in apparenza priva di vitalità e di vigore. Da questa donna già provata dal peso degli anni e ancor più dall'incapacità a generare vita, infatti, Dio sa trarre il germe di un'umanità nuova.
La figura di Elisabetta oggi è più attuale che mai. Con il suo nascondimento e con la sua presenza silenziosa a fianco di un marito reso silenzioso da Dio a motivo della sua incredulità, ci insegna che ciò che conta nella vita non è l'apparire, ma l'essere; ciò che conta, di fronte a Dio, non è l'immagine di noi stessi che diamo al mondo, magari camuffata dietro il mito dell'eterna giovinezza o di un'efficienza totale e assoluta anche quando non c'è più, ma la fiducia incondizionata in lui, per il quale davvero nulla è impossibile. Se dunque Elisabetta, come spesso diciamo, è anche immagine di una Chiesa di antica tradizione curva sotto il peso degli anni e delle proprie fatiche, apparentemente incapace a rigenerarsi e che guarda con speranza alle giovani Chiese piene di vitalità, non facciamoci prendere dalla delusione o dallo scoraggiamento ogni volta che abbiamo l'impressione che le nostre chiese si svuotino, che le nostre assemblee invecchino, che le nostre attività vadano a vuoto: da Betlemme, infatti, "così piccola per essere fra i villaggi di Giuda - ci dice Michea - uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele".
Dio è capace ancora oggi di stupire l'umanità. E ne avremo la prova a breve, quando le voci dei suoi angeli ci inviteranno a correre alla grotta di Betlemme.