Omelia (12-03-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.
Commento a Mc 9,1-9

Dopo il deserto e la tentazione, ecco, oggi, la visione luminosa, quella teofania, che anticipa la gloria finale di Cristo, il quale si offre alla contemplazione dei tre discepoli prescelti, rivelandosi nella sua realtà divina: Gesù è il Figlio di Dio ed è Lui stesso Dio.
E' il racconto della trasfigurazione di Gesù, un' esperienza anticipata della Pasqua, che possiamo cogliere nel simbolo di quelle vesti "splendenti, bianchissime, che nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere così bianche..."
Un evento grande, la narrazione del quale è fatta per simboli, e non potrebbe essere diversamente, poiché l'essere di Dio oltrepassa le possibilità del linguaggio umano.
Il passo del Vangelo parla di un monte alto, ed in esso di un luogo appartato, al quale nessuno degli evangelisti dà un nome; la tradizione l'ha identificato nel Tabor, non una cima elevata, ma un colle, che si affaccia su una fertile pianura della Galilea; tuttavia, non è la precisazione geografica che conta, ma il significato che, dietro al simbolo, si cela, esso è segno del Dio Altissimo,
dell'assolutamente Altro, che chiama a sé, e che, appunto dall'alto si rivela.
Così questo monte, luogo della grande rivelazione di Cristo, rimanda ad un altro monte: il Sinai, sul quale Dio, svelò a Mosè il Suo nome e sul quale dimorava la sua gloria, segno della Presenza:
"...la gloria del Signore venne ad abitare sul Monte Sion, e la nube lo coprì.." ( Es. 24,1-16)
Se, nel racconto dell'Esodo, il segno della presenza divina era il fuoco, nel racconto della trasfigurazione di Gesù, il segno della divinità è il candore delle vesti, riguardo al quale, Marco ha quella curiosa notazione:"... nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche..."; questo candore è l'ineffabile splendore della divinità di quel Maestro, col quale i tre discepoli, erano abituati a condividere le giornate di predicazione, una persona come tante altre, che si distingueva per l'autorevolezza dell'insegnamento, e le opere mirabili di guarigione, ma che, all'apparenza, era semplicemente, un uomo, il figlio del carpentiere e di Maria.
Ora, Pietro, Giacomo e Giovanni, scelti, non a caso, ma in vista della testimonianza futura, sono sbalorditi, intimoriti, dalla grandezza dell'Evento, che offre ai loro occhi una visione nuova del loro Maestro, una visione fatta di maestà e di splendore, una visione di luce, nella quale compaiono anche due personaggi di grande rilievo nell'Antico Testamento: "... Elia con Mosè, discorrevano con Gesù..."; siamo nella pienezza del Mistero, quella che Paolo dirà essere il compimento della volontà del Padre, che è: ".. di ricapitolare in Cristo, tutte le cose..." ( Ef.1,9).
Nella pienezza dei tempi, il Figlio di Dio, col suo sacrificio, riconsegnerà al Padre tutta la creazione redenta: l'umanità, il cosmo, la Storia.
" E' bello, per noi, stare qui-dice Pietro, ancora preso da timore- facciamo tre tende.."; ma non è
ancora tempo di dimorare nella gloria; la visione, infatti, è breve, essa è un dono che rischiara la fede, è un'anticipazione della realtà futura; ma per il momento, è necessario scendere a valle, e vivere la penombra della fede, e la fatica che il suo chiaroscuro comporta; " E subito guardandosi attorno non videro più nessuno, se non Gesù, solo con loro .", il Gesù di ogni giorno, con le sembianze di sempre.
Ora scendono in Galilea, tra la gente che aspetta di esser illuminata, confortata e risanata, e riprendono il cammino, durante il quale il Maestro annuncerà loro che la sua "ora" sta per giungere ed egli sarà consegnato nelle mani degli uomini, che lo giudicheranno e lo condanneranno a morte; ma, dopo tre giorni, egli risorgerà.
Il passo del Vangelo di questa domenica, si ferma allo splendore del Tabor, ma la vetta di Dio esige che si percorra tutta la salita, che fa intravedere quella del Calvario, che oggi possiamo scorgere simboleggiata, nel sacrificio che Abramo è pronto a fare dell'unico figlio
E' il passo della prima lettura, tratta dal libro della Genesi; anche qui si parla di un monte, il monte Moira; che, Abramo, l'amico di Dio, sale, accompagnato dal figlio Isacco, che deve essere sacrificarlo al Signore. (Gn.1.2.9.10-13.15-18). Si tratta di uno dei passi più commoventi e drammatici dell'Antico Testamento, un racconto carico di silenzi, rotti solo dallo struggente dialogo tra il giovinetto e suo padre:"«Padre mio! -Eccomi, figlio mio!- Dov'è l'agnello per l'olocausto?- Dio stesso provvederà, figlio mio!»". Nel cuore del vecchio Patriarca, risuona la parola del Signore che gli aveva detto:«Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, e offrilo in olocausto!».
Nel lungo, faticoso viaggio verso la cima del monte, fede e amore si intrecciano drammaticamente, fino a che Dio non fermerà la mano di Abramo, e, al posto del giovane Isacco, sarà sacrificato un ariete.
In quel dramma e su quella vetta, aiene prefigurato il sacrificio dell'unico Agnello, che ha riscattato il peccato dell'intera umanità, l'Unico Figlio, che il Padre, nel suo infinito amore ha consegnato agli uomini, perché in Lui, nella sua morte e resurrezione, essi fossero, per sempre, riconciliati con Dio..
Sono le parole di Paolo, che leggiamo nella seconda lettura di questa domenica:
" FrateIli, che diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù? Egli è morto, anzi, è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi." ( Rm. 8, 31 34)
La liturgia eucaristica di questa domenica è un dono grande di contemplazione, che possiamo rileggere e meditare anche in un breve testo del Papa Giovanni Paolo II, testo che è la miglior conclusione a queste riflessioni, e che così recita: "La scena evangelica della trasfigurazione di Cristo, nella quale i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni appaiono come rapiti dalla bellezza del Redentore, può essere assunta ad icona della contemplazione cristiana. Fissare gli occhi sul volto di Cristo, riconoscerne il mistero nel cammino ordinario e doloroso della sua umanità, fino a coglierne il fulgore divino definitivamente manifestato nel Risorto, glorificato alla destra del Padre, è il compito di ogni discepolo di Cristo; è quindi anche compito nostro. Contemplando questo volto ci apriamo ad accogliere il mistero della vita trinitaria, per sperimentare sempre nuovamente l'amore del Padre e godere della gioia dello Spirito Santo. Si realizza così anche per noi la parola di san Paolo: «Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2 Cor. 3,18)." ( Rosarium Virginia Mariae n.9 )




Sr Mariarita Pisano o.p.
Monastero Domenicano
SS.mo Rosario
Marino Laziale RM