Omelia (11-01-2025)
Missionari della Via


Oggi vogliamo meditare su due punti importanti: il primo è la guarigione che ci porta Gesù. Egli è disposto a toccare anche il nostro corpo infetto per guarirci. Sì, Gesù si espone al contagio per liberare il nostro cuore, non ha paura di avere a che fare persino con le cose più brutte che abbiamo fatto o coltivato dentro di noi, quelle malattie invisibili che ci si attaccano addosso. Questo vuol dire che nel cuore di Dio c'è spazio per tutti, c'è spazio per me nonostante tutto! Di conseguenza questo è il motivo per cui non possiamo sentirci a posto davanti ai problemi degli altri, perché come Gesù ha misericordia di noi, e ci accoglie nonostante i nostri limiti, così siamo chiamati a fare con gli altri dando testimonianza con la nostra vita. Se Gesù fa spazio a tutti, perché dovremmo tenere fuori dal nostro amore qualcuno? Spesso la nostra morale rigida e intransigente è divenuta il pretesto per non avvicinarci a nessuno, per "non contagiarci" con la vita altrui. Operando così, però, contraddiciamo il principio di universalità dell'amore: la Chiesa è per tutti, così come Cristo non ha ristretto la salvezza ad alcuni.

L'altro punto importante su cui oggi vogliamo meditare è la modalità con cui opera Gesù, rifiutando ogni forma di clamore, per cui si ritirava a pregare in luoghi deserti quando la folla si accalcava. Noi spesso quando vediamo folle ci esaltiamo, cominciamo a contare e annunciare i numeri che per noi dovrebbero significare la riuscita e la bontà della nostra opera. Così facendo rinunciamo ad ascoltare la sete di verità, la gratuità della folla. E più ci esaltiamo e più ci organizziamo per far sì che i numeri aumentino in qualche modo, così che il Vangelo ci diciamo raggiunga tutti. Ma non è che nascondiamo la vanagloria sotto buoni propositi? Forse il criterio di Gesù era quello del clamore? Quando operiamo per cosa lo facciamo, per la salvezza, per i numeri, per la riuscita e la gloria conseguente? Utilizziamo la vita cristiana per la nostra gloria personale? Badiamo a questa sottile tentazione che non ci fa essere strumenti di guarigione, perché ci fa fermare solo dove c'è la folla che acclama, dimenticando di ascoltare l'altro e ignorando i lebbrosi, i poveri, i vagabondi, i cercatori di Dio.

«La Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso. E' diventato servo, servitore; ha voluto essere umiliato fino alla Croce. E se noi vogliamo essere cristiani, non c'è un'altra strada. Ma non possiamo fare un cristianesimo un po' più umano - dicono - senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: "Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?". Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all'orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. È un idolo! E l'idolatria è il peccato più forte!» (papa Francesco).