Omelia (25-12-2024) |
don Alberto Brignoli |
Buona Speranza a tutti! Sono tante, e tutte quante meravigliose, le espressioni che ascoltiamo dalla Liturgia della Parola del Natale. Chi la fa da protagonista è certamente il profeta Isaia, che peraltro ci sta accompagnando sin dall'inizio del Tempo di Avvento all'incontro con il nostro Salvatore, il Messia, utilizzando espressioni che rimangono indelebili nella memoria dei credenti: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce", "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio", "Dite alla Figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore", e via discorrendo. Per non parlare dei favolosi racconti della nascita di Gesù tramandatici da Luca e da Matteo, che lungo i secoli hanno profondamente stimolato l'immaginario collettivo, spingendo i credenti di ogni luogo e di ogni tempo, quantomeno da San Francesco in poi, a riprodurre nelle proprie abitazioni, nelle chiese e nelle piazze, la scena della Natività, decorandola di volta in volta con elementi sempre più ricchi e dettagliati. Per i cristiani "dal palato fino", che amano assaporare le profondità del mistero di Dio, la Liturgia della Parola ci mette invece a disposizione - e lo farà a più riprese, in questi giorni di Natale - la sublimità di un testo come il prologo del Vangelo di Giovanni, incentrato sull'incarnazione del Verbo divino, la cui espressione più famosa, "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", è divenuto una sorta di slogan - di "banner" diremmo oggi - adatto a pubblicizzare la festa più emozionante di tutto l'anno. Per questo, rischiano di passare in secondo piano altri testi che ascoltiamo, in particolare quelli tratti dalle lettere di Paolo che leggiamo praticamente nella seconda lettura di ogni messa. Io ne ho notato uno, tratto dal secondo capitolo della lettera di Paolo a Tito; devo dire che mi ha colpito non per la sua particolare bellezza o per l'emotività che suscita, ma perché mi ero messo alla ricerca di qualche testo che, già a Natale, ci parlasse di una virtù della quale in quest'anno sentiremo parlare spesso, ossia la virtù della Speranza, intorno alla quale papa Francesco ha voluto che ruotasse l'attenzione dei fedeli di tutto il mondo durante questo Anno Santo del Giubileo da lui aperto proprio in questi istanti. Certo, tutto si può dire, sulla scelta di questo tema, tranne che si tratti di una scelta originale. Verrebbe quasi da dire che il papa, invitandoci a riflettere e pregare sulla Speranza, ha fatto la scoperta dell'acqua calda: quale cristiano non vivrebbe un evento straordinario come quello del Giubileo senza un sussulto di speranza nel cuore, senza avere dentro di sé la speranza che questo evento torni a suscitare interesse nei confronti della fede e non solamente interessi legati alla straordinarietà e alla pubblicizzazione dell'evento, quando non addirittura interessi puramente economici e di marketing? Eppure, papa Francesco ha avuto un'intuizione enorme: quella di invitarci a considerare la speranza cristiana come un elemento fondamentale della nostra esperienza non solo di fede, ma innanzitutto umana, perché senza speranza, in questo determinato periodo storico, l'umanità si sarebbe già autodistrutta. Basti pensare - ma non esiste solo quello - agli innumerevoli focolai di guerra che in ogni momento si accendono in ogni angolo della terra... Citavo, poco fa, la lettera di Tito, perché nella lettura proclamata durante la messa della notte descrive la nascita di Cristo in questo modo: "È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria". Una frase di questo tipo meriterebbe fiumi di parole per essere commentata in modo adeguato; ma io vorrei concentrarmi solamente sul tema della Speranza proprio per non perdere la preziosa occasione che il Giubileo ci offre. In buona sostanza, Paolo ci dice che la Speranza (da lui definita "beata", ovvero qualcosa di una grandezza indescrivibile) è quella virtù che ci mette in attesa di qualcosa che, per noi, rappresenta lo scopo della vita: la nostra e l'altrui salvezza. Ecco: la nascita di Gesù viene a dirci in quale modo noi possiamo rendere visibile questa speranza che portiamo nel cuore, ossia rinnegando "l'empietà e i desideri mondani" e vivendo "con sobrietà, con giustizia e con pietà". Vogliamo scendere nel concreto, perché questo Natale, al di là del fatto che ce lo chieda l'Anno Santo 2025, rappresenti per noi un motivo di speranza? Paolo ci chiede sostanzialmente due cose: rifiutare due atteggiamenti e viverne intensamente altri tre. Ci chiede di rifiutare l'empietà e i desideri mondani, ovvero tutte quelle cose che dimostrano mancanza di pietà e attaccamento alle cose futili e banali di questo mondo. Non c'è speranza, e perlomeno quest'anno non c'è vero Natale, se non dimostriamo "pietà", ovvero compassione, amore: amore per le cose di Dio e amore per la vita delle persone. Non c'è Natale se l'unica cosa che abbiamo in testa è la banalità delle cose mondane: regali, vestiti, vetrine, luci, cibo in abbondanza e addirittura in esubero; cibo che tra pochi giorni finirà in discarica solo perché "era troppo" o non era di nostro pieno gradimento; luci che per quanto belle - azzeccate o meno che esse siano - tra qualche giorno torneranno nei magazzini e negli scantinati dai quali le abbiamo estratte; vetrine che saranno servite solo per spingerci a consumare nella convinzione che, così facendo, mettiamo in moto l'economia (è vero, certo: ma solo quella dei potenti, purtroppo...); vestiti che serviranno a fare colpo sugli altri perché forse non pensiamo mai che abbiamo ben altro a disposizione per colpire gli altri, e questo "ben altro" sta molto meno in mostra di tante cose gettate al vento; regali di cui ci stanno già spiegando come fare a riciclarli entro il 6 gennaio, se non ci sono piaciuti... alla faccia del senso di gratuità e di riconoscenza verso chi ce li ha regalati. Ma non basta. Perché oltre che a rinunciare a questi desideri mondani, siamo invitati a dare vita alla Speranza con tre atteggiamenti: sobrietà, giustizia e pietà. In poche parole: vivere accontentandoci dell'essenziale (anche perché il superfluo non ci serve a nulla: non ce lo portiamo nell'aldilà e smaltirlo nell'aldiqua costa parecchio); vivere nel rispetto degli altri, delle leggi, del mondo che ci è stato dato e che, non dimentichiamolo, dobbiamo consegnare ai nostri figli in condizioni migliori di come lo abbiamo ricevuto; vivere con sentimenti di pietà, ovvero utilizzando, nelle nostre attività quotidiane e nei nostri comportamenti di ogni giorno, l'unica forza capace ancora, nonostante tutto, di governare il mondo: ed è l'Amore. Se questa è la Speranza, e se almeno quest'anno ci deve aiutare a vivere meglio il Natale, allora Buona Speranza. E quindi, Buon Natale. |