Omelia (29-12-2024) |
Agenzia SIR |
Il primato del Padre dei cieli Stando alla trama dei Vangeli dell'Infanzia di Luca, scopriamo che il Figlio di Dio si fa carne in modo divino, cioè attraverso il concepimento verginale opera dell'effusione dello Spirito Santo, ma anche in modo umano, cioè accolto dal calore dell'amore di un uomo e di una donna che sono la famiglia che lo accoglie, lo ama e lo custodisce. Dio, infatti, sceglie una donna, Maria, la vergine, giovane donna "coltivata dalla grazia", creatura nella quale non vi è ombra di peccato, e sceglie anche un uomo, Giuseppe, il "giusto", discendente del casato di Davide, erede della promessa dell'avvento del Messia, ramo dell'albero genealogico da cui sboccia nella storia umana la vita del Dio fatto carne. Per Gesù, Dio Padre ha "sognato" dunque una famiglia dove potesse crescere come ogni figlio d'uomo, circondato dal senso di sicurezza di una coppia stabile da cui promana l'affetto materno che rassicura e la spinta paterna che rende capaci di abitare il mondo. Dio ama e benedice sin dall'inizio la famiglia che è epifania di comunione e affida all'uomo e alla donna la missione di rivelare, proteggere e trasmettere l'amore. La famiglia, secondo il disegno di Dio, è dunque riflesso della gratuità dell'amore, icona del dono di sé totale e definitivo, ma è anche la culla della propria identità vocazionale, nell'attenzione ai doni e talenti personali, nella loro promozione e nell'esperienza del valore unico e irripetibile della propria identità e della propria missione. Dio ha scelto di nascere in una famiglia perché crede nella bellezza delle relazioni, nella forza dei legami, nella potenza dell'amore. Consapevole del dono prezioso che gli è stato affidato, Giuseppe protegge in ogni modo Gesù: è difensore della sua vita e custode e promotore della sua fede. Gli insegna ad osservare la Parola del Signore e a vivere anche la dimensione del pellegrinaggio festoso e comunionale a Gerusalemme verso la casa del Signore. Ed è talmente responsabile nei confronti del grande "dono" che è il Figlio di Dio per lui da provare angoscia all'unisono con Maria, quando durante il viaggio di ritorno dal pellegrinaggio al tempio in occasione della dodicesima pasqua di Gesù, a un cero punto non lo ritrova più accanto a sé e nella synodia, la compagnia del parentado (cf. Lc 2,43-45). Giuseppe soffre quando colui che ama non è più sotto i suoi occhi, sotto le sue "ali" paterne. Allora inizia una ricerca affannosa perché perdere chi si ama è come sperimentare la morte. Quest'uomo mite e docile però "risorge" quando nel Tempio vede un lampo di luce: è suo figlio che dialoga con i dottori. Il bimbo che ha sollevato alla sua guancia per fargli sentire tutto il suo amore (cf. Os 11,3.4) e al quale ha insegnato a camminare secondo la Legge del Signore ascolta i dottori della Legge, li interroga e da essi viene interrogato dispiegando una sapienza sorprendente. La gioia più grande di un padre è sapere che tutto ciò che è suo appartiene a suo figlio (cf. Lc 15,31) e che questi non solo lo manifesta ma lo supera persino. E quando Gesù risponde al rimprovero di sua madre dicendo «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49), Giuseppe non si sente umiliato nel sentire che il ragazzo che sta facendo crescere parli di "Padre mio" senza riferirsi a lui. In fondo sa che lui e Gesù sono anche fratelli, figli dello stesso Padre che è nei cieli, la fonte da cui prende origine la sua paternità, ogni paternità e ogni maternità. Commento di Rosalba Manes, consacrata dell'Ordo virginum e biblista |