Omelia (05-01-2025)
diac. Vito Calella
Speranza tradotta in “preghiera”, in “agire” e “soffrire”

Abbiamo appena iniziato il nostro cammino giubilare. L'autore della lettera agli Efesini, di tradizione paolina, ci dice che la speranza fa brillare i nostri occhi perché lo Spirito Santo già abita in noi. In Rm 5,5 l'apostolo Paolo aveva scritto: «La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Allora, facciamo nostra l'esortazione: «Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, ci dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,17-18).
Siamo «chiamati alla speranza» di poter conoscere e amare Gesù in modo sempre piú solido e profondo, scegliendo di essere illuminati dalla vera sapienza del Vangelo, che nel linguaggio di san Giovanni è contemplato come «Verità».
Siamo «chiamati alla speranza» di voler "agire" con amore di rispetto, accettando di "soffrire" a causa del rifiuto di tanta gente a centralizzare la propria vita nella fede in Gesù Cristo, morto e risuscitato per la salvezza dell'umanità e di tutta l'opera della creazione.
Per agire controcorrente rispetto alla cultura egoista, edonista e materialista di questo mondo e per soffrire senza soccombere, diventa urgente invocare incessantemente lo Spirito Santo, che nel linguaggio di san Giovanni è contemplato come «grazia su grazia proveniente dalla pienezza di Gesù Cristo» (Gv 1,16).
Per poter conoscere e amare Gesù in modo sempre piú solido e profondo, la prima scuola di speranza è la preghiera, che Sant'Agostino definisce «esercizio del desiderio».
Pregare significa innanzitutto l'esercizio del desiderio ardente di accostarci alla Parola di Dio, cibandoci soprattutto dei frutti dell'albero della vita dei libri del Nuovo Testamento.
Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana, infatti, noi continuiamo a credere che Gesù «è il Verbo fatto carne, che venne ad abitare in mezzo a noi, contemplando la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14).
Tutti i libri dell'Antico Testamento convergono, sia verso la missione del Figlio eterno e amato di Dio Padre, venuto a rivelare definitivamente il progetto divino di salvezza per tutta l'umanità e per tutta la creazione; sia verso la missione dello Spirito Santo, che anima tutti i cristiani, uniti in Cristo, a diventare sempre più «germe e inizio del Regno di Dio» (LG 5) nella storia dell'umanità dando testimonianza della «loro fede nel Signore Gesù e dell'amore che hanno verso tutti i santi» (Ef 1,15).
Nel libro del Siracide Gesù, «Verbo fatto carne, venuto ad abitare in mezzo a noi» era già stato annunciato come quella «Sapienza che fa il proprio elogio e trova in Dio il proprio vanto» (Sir 24,1).
Nel prologo di Giovanni preghiamo e contempliamo il Figlio eterno e amato del Padre con queste parole, che aprono e chiudono il cantico: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1-3); «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18) Con la sua nascita a Betlemme, Gesù è veramente la Sapienza di Dio che «fissa la tenda in Giacobbe, prende eredità in Israele, affonda le tue radici tra i suoi eletti» (Sir 24,10-11).
Siamo «chiamati alla speranza» "agendo" con l'amore di rispetto.
Ogni nostro agire serio e retto è speranza in atto.
Sperare significa invocare incessantemente lo Spirito Santo per mettere in pratica la prima e la seconda benedizione del cantico di Ef 1,3-14: «essere santi e immacolati di fronte a Dio Padre, nella carità, e sentirci predestinati ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (Ef 1,4b-5a).
l nostro agire in sintonia con la volontà di Dio diventa speranza in atto quando ci rispettiamo gli uni gli altri e quando rispettiamo tutte le creature della natura, perché il "rispetto" è l'atteggiamento rivelativo della gratuità dell'amore di Dio nella pratica delle nostre relazioni umane. Il rispetto dell'altro ci spinge ad evangelizzare chiunque incontriamo nel cammino della nostra vita, senza escludere nessuno, avendo il coraggio di difendere l'autentica dignità di ogni essere umano, la cui vera identità sta nel sentirsi «figlio adottivo e amado di Dio Padre» (cfr. Ef 1,5a), per Cristo, con Cristo e in Cristo.
Siamo «chiamati alla speranza» "soffrendo" a causa della mancanza di fede
La bellissima preghiera del prologo del Vangelo di Giovanni rivela anche il dramma del rifiuto di Gesù Cristo come «vita che è la luce degli uomini; luce che splende nelle tenebre, senza che tenebre riescano a vincerla» (cfr. Gv 1,4-5). «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,9-11). C'è ancora molta gente che soffoca il dono della fede mettendo al centro della sua esistenza i suoi progetti egoistici a servizio dell'idolatria del denaro e della fede nel potere del sapere scientifico applicato alla tecnologia manipolatrice e dominatrice della realtà. Le guerre e le ingiustizie provocano incalcolabili sofferenze, la cui radice è l'egoismo di chi non centralizza la sua esistenza nel mistero della morte e risurrezione di Gesù.
Noi accettiamo di soffrire, facendo tutto il possibile per diminuire la sofferenza dei poveri del mondo.
Soffriamo per il senso di impotenza che sperimentiamo e per l'impossibilità di eliminare i conflitti, le separazioni e le conseguenze catastrofiche dell'agire egoista dell'essere umano.
Facciamo fatica ad accettare le sofferenze che si manifestano nella nostra propria corporeità vivente, anche a causa dei nostri peccati. È difficile accettare la radicale povertà della fragilità, vulnerabilità e fugacità della nostra esistenza.
Siamo «chiamati alla speranza» "soffrendo" con la consapevolezza che solo Dio Padre può scrivere diritto sulle righe storte del dolore delle sue creature e l'ha fatto prendendo su di sé ogni forma di sofferenza, per mezzo del Figlio suo unigenito, entrato nella storia facendosi uomo e soffrendo per noi nella morte di croce.
Noi accettiamo di soffrire credendo che siamo già ospitati nel dinamismo di comunione e di vita eterna della Santissima Trinità e credendo che Cristo risuscitato è già «l'agnello di Dio che toglie, vince, il peccato del mondo» (Gv 1,29).
Chiediamo al Padre, unito al Figlio nello Spirito Santo di poter diventare come Giovanni Battista: luce riflessa della vera luce che vince le tenebre del mondo! Siamo chiamati ad essere «luce del mondo» (cfr. Mt 6,13). Per mezzo di Cristo già disponiamo della «verità» della proposta di nuova ed eterna alleanza con il Padre, che vuole la salvezza di tutti! Già diponiamo della «grazia» dello Spirito Santo! (cfr. Gv 1,17). Facciamo in modo che nel giorno del giudizio finale, non saremo spaventati dalla paura di Dio, ma saremo felici per il rendiconto della nostra vita e dello stile su cui l'abbiamo impostata. Come dice Papa Francesco: «Il giudizio di Dio, che è amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), non potrà che basarsi sull'amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi, nei quali Cristo, il Giudice stesso, è presente. (cfr. Mt 25, 31-46)».