Omelia (13-03-2004) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Dalla Parola del giorno Gesù disse loro questa parabola:"Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al Padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze". Come vivere questa Parola? Già al tempo di Gesù la stragrande maggioranza di Ebrei viveva all'estero anziché in Palestina. Da sempre il paese lontano è stato motivo di attrazione! Ma "estero", per il pio ebreo, vuol dire paganesimo, contaminazione quindi, rischio di perdere la propria identità e la stessa fede. A questo pericolo si espone il figlio minore della parabola in questione, decidendo di 'partire' per un paese lontano" dopo aver preteso la parte di patrimonio che gli spettava. Ma al di là dei possibili pericoli dell'espatrio, chiediamoci: nella richiesta avanzata da questo giovane, che a primo acchito sempre dettata dalla legittima aspirazione di organizzarsi in proprio e decidere autonomamente, il peccato dove sta? Secondo le prescrizioni della Legge (Dt 21,17), al figlio minore di fatto spettava un terzo dei beni paterni. Il padre poteva trasmetterli o per donazione o per testamento: in ogni caso il figlio ne aveva sì diritto di proprietà ma non poteva disporne finché il padre era ancora in vita. Qui invece è proprio questo che il giovane rivendica: tutto e subito, autonomamente. Una rivendicazione che assomiglia molto all'usurpare perché pretende come diritto ciò che gli spetta come dono. E non è forse questo il peccato alla sua radice? Usurpare come possesso, come diritto ciò che è essenzialmente un dono gratuito di Dio? E una volta tolta la dimensione del dono alle cose, cosa resta se non quella voglia avida di fare e disfare, scialacquando e dissipando ciò che si ha e ciò che si è, fino a rovinare se stessi? Un proverbio ebraico afferma: "Quando gli israeliti sono ridotti a mangiare carrube, è la volta che si convertono". Oggi dunque nella mia pausa contemplativa, avendo sperimentato che il peccato è appropriazione indebita e godimento disordinato di un dono ricevuto, chiederò al Signore di poter 'trangugiare' le carrube di questa menzogna esistenziale per percepirne la stoltezza fino a desiderare sinceramente di convertirmi alla gratuità dell'amore, dato a ricevuto. Pregherò: Converti il mio cuore a Te, Signore.Che io mi percepisca amato da Te e ami tutti in Te. La voce di un grande Papa Il sorriso abituale che sfiora il labbro deve saper celare la lotta interna, talora tremenda, dell'egoismo, e rappresentare, quando occorra, le vittorie dello spirito sopra le contrazioni del senso o dell'amor proprio. Papa Giovanni XXIII |