Omelia (05-01-2025)
padre Gian Franco Scarpitta
Il Dio per noi

Nell'incarnazione è avvenuta la massima rivelazione divina rivolta all'uomo. Poteva Dio manifestarsi all'uomo e imporsi con autorità e perentorietà per mezzo di minacce e di intimazioni affinché migliorassimo la nostra condotta? Poteva intervenire con espedienti di punizione e di coercizione, affinché smettessimo di perseverare nel male e nell'ingiustizia?
La Bibbia descrive vari interventi divini catastrofici come la distruzione di Sodoma e Gomorra o il diluvio universale o la minaccia della distruzione di Ninive, o ancora le carestie e le pestilenze punitive. Nessuno di questi espedienti però conquista il cuore umano e rinnova l'uomo fino in fondo e del resto anche Manzoni lascia intendere ne "I promessi sposi" che a nulla servono le "grida" e le leggi spietate e severe quando c'è sempre chi mette una "pulce nell'orecchio" agli innocenti che chiedono giustizia. Non servono le repressioni e le condanne a trasformare l'uomo radicalmente e spesso hanno anzi peggiorato la nostra situazione di convivenza. Dio piuttosto non trovava migliore possibilità di venirci incontro se non quella di farsi uomo lui stesso, senza omettere nulla delle nostre condizioni e senza rifuggire alcuna tappa dei nostri percorsi di vita, dalla culla fino alla bara e, come sappiamo, ben oltre. E' stato sottomesso a tutte le leggi biologiche inerenti il concepimento e la gestazione, fatta eccezione per la partenogenesi di Maria sua madre, che peraltro era anche necessaria. Si è assoggettato alle leggi e alle disposizioni dei suoi tempi in merito alla formazione umana, culturale e sociale; ha fatto esperienza della concretezza della vita per mezzo della fatica del lavoro, della difficoltà a interagire con i suoi conterranei a Nazareth ben noti per essere refrattari ad ogni forma di devozione e di religiosità; ha vissuto l'esperienza dell'abbandono, della paura, della solitudine e del tradimento da parte di altri. Dio ha vissuto insomma la storia umana sotto tutti i suoi aspetti, trascurando ovviamente quello del peccato e della miseria morale. Ha preferito anzi assumere l'aspetto più precario e deprezzato della vita umana, cioè la povertà e la procurata umiliazione che accrescono l'umiltà.
Terenzio diceva che "Sono uomo, nulla di ciò che è umano mi è estraneo"; nella vita di Gesù essere uomo ha comportato la conoscenza diretta e indiretta della positività e della negatività, l'esperienza diretta di tutto ciò che possa vivere un uomo qualsiasi sotto questo cielo.
Giovanni descrive che "il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi". Per "carne" si intende la finitudine, la caducità, la peccaminosità umane, che lui per l'appunto non ha disdegnato di abbracciare e di vivere fino in fondo. E indica anche la possibilità di essere invischiato dal peccato, che però egli non ha avuto, essendo vero Dio oltre che vero uomo.
Per dirla con Paolo; "Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio"(2Cor 5, 21).
Fra l'essere Dio in Gesù e il suo essere uomo c'è una continuità e anche una discontinuità che dimostrano la sua gloria e trascendenza ma che non smentiscono allo stesso tempo la sua umiliazione e la sua umanità concreta. Gesù è il nome proprio, anagrafico, del Verbo fatto carne di cui Gv 1, 14; "Cristo" corrisponde invece a "messia", "unto" che comporta anche la regalità. Paolo spiegherà poi che "Colui che fu manifestato in carne, fu giustificato in spirito, apparve agli angeli, fu predicato alle nazioni, fu creduto nel mondo, fu elevato in gloria (1Tm 3, 16).
Il Verbo fatto carne è quindi la rivelazione del mistero di Dio che ora si rende manifesto in un Bambino, per essere umiliato, affrontare il dolore, la morte ma per essere poi resuscitato e innalzato al di sopra di ogni vivente.
Di conseguenza il Natale è la rivelazione della Sapienza divina che ha trovato dimora fra gli uomini, della spoliazione di Dio che umilia se stesso sottomettendosi alle condizioni temporali, della stessa eternità che entra nel tempio.
L'espressione "Venne ad abitare in mezzo a noi" di Giovanni letteralmente significa "venne a porre la tenda in mezzo a noi", per interagire come un comune uomo con i suoi contemporanei in modo diretto, libero e disinvolto, confondendosi con gli altri e realizzando comuni relazioni e integrazioni. Dio, pur non rinunciando alla sua maestà alla sua gloria e magnificenza, preferisce non avvalersene appieno per imporre i suoi diritti e per pretendere sudditanza incondizionata, a piuttosto ama essere uno di noi, vivendo la nostra stessa realtà e il nostro quotidiano.
Tutto questo appunto perché in Dio non poteva che esservi amore incondizionato nei riguardi dell'uomo e perché solo l'amore poteva essere la ragione unica della rivelazione come autocomunicazione di Dio nella storia. Solo l'amore di Dio sprona alla conversione (Rm 2, 4) e pone le convinzioni per cui ci si riconosca suoi figli, anziché sottomessi a una inane sudditanza riverente. Solamente camminando con noi e vivendo la nostra storia anche nei risvolti più precari e derelitti Dio poteva comunicarci questo amore che redime e che salva rendendoci partecipi della natura divina affinché anche noi ci divinizzassimo sia pure nei vincoli di imperfezione.
Natale è quindi la passione escliusiva di Dio per noi uomini.