Omelia (05-01-2025)
don Andrea Varliero
Venire alla luce

È bello ritornare al giorno del Natale, è bella la spiritualità di questo cammino che parte dall'intimità e dalla gioia silenziosa di essere andati di notte ad abbracciare il Bambino insieme ai pastori e ci conduce alla pienezza della luce insieme ai magi; un respiro dell'anima tra i pastori e i magi, tra Natale ed Epifania. Ma prima è necessario il nostro Natale, la nostra nascita. Viviamola così questa domenica, come il giorno del nostro Natale. Quando siamo nati, ci è stata detta una cosa bellissima: siamo venuti alla luce. Nascere, venire alla luce. Veniva nel mondo la luce.
Alcuni anni fa c'è stato un episodio di cronaca in Turchia: quando un cinquantenne ha visto che centinaia di soccorritori cercavano un uomo scomparso, non ci ha pensato un attimo e si è unito alle ricerche. Solo dopo diverse ore si è reso conto che era proprio lui la persona che tutti stavano cercando. Secondo quanto riportato dai media locali, l'uomo si era allontanato ubriaco da un locale, dove si trovava con gli amici, inoltrandosi nei boschi. Non vedendolo tornare, i suoi compagni hanno avvisato le autorità, che hanno organizzato una squadra di ricerca. Per ore nessuno si è accorto che la persona scomparsa si era unita ai volontari. Finché un soccorritore ha urlato il suo nome e l'uomo ha risposto. Quando si dice: l'importanza di ritrovare sé stessi.
Un episodio che, oltre i fumi dell'alcool, ci fa comprendere che cosa significhi nascere: noi veniamo alla luce solo quando ci cerchiamo e siamo cercati. Per ritrovarsi bisogna lasciarsi trovare. E come si fa? L'essere umano non nasce una volta per tutte come gli animali, autosufficienti già poco dopo il parto, grazie all'istinto. Noi ci mettiamo tutta la vita a nascere, perché siamo esseri incompiuti: non viviamo solo d'istinto, ma di desiderio; non viviamo solo di necessità, ma di libertà. Per questo siamo chiamati a «ri-nascere»: non è nascere di nuovo, ma nascere sempre più intensamente. Rinascere non è rientrare di nuovo nel grembo di nostra madre, ma diventare noi stesso grembo, accogliere la vita che ci è capitata e darla alla luce ogni giorno di più. «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo».
Siamo venuti alla luce: abbiamo perso la protezione del grembo, abbiamo abbandonato la calda sicurezza, che a lungo andare ci soffoca, e ci siamo sentiti perduti. Sentiamo di dover venire alla luce: una vita più vera spinge forte in noi, anche se il passaggio è angoscioso, angusto, stretto. A volte preferiamo restare informi, senza libertà, pur di non sentire la paura di non essere abbastanza: il conformismo si nutre di questa paura, ci toglie la sana inquietudine della nascita. Ma, evitando i dolori del parto della scelta, rinunciamo a venire alla luce e al mondo, a una vita più vera, «più nata». Vedo ragazzi «nati poco», perché non scelgono. Vedo adulti «nati poco», perché non scelgono. Agostino scrive: «Chi ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te». Chi non sceglie, come un bambino che non sa rinunciare a nulla, non si salva, non rinasce. «A quanti però lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio».
«Un bambino è nato per noi: ci è stato dato un figlio». Dio davvero agisce in modo sorprendente e paradossale. Conta sulla fragilità come forza, ci spiega che non si vince la violenza con la violenza, né l'oppressione con un'altra oppressione. È da qui che si riparte: da un neonato indifeso buttato su una mangiatoia. Per questo siamo chiamati a credere di più nella potenzialità che ha la vita fragile, la vita nuda. Dio illumina e rilancia la vita nella sua condizione più piccola, la vita minima, la vita che soltanto nasce, la vita pura, senza ritocchi, senza ornamenti, la vita e niente più. La sfida sta nel credere nelle possibilità che questa vita innesca in noi. Il Natale ci lascia un dono tra le mani: ci affida un verbo, un unico verbo per ogni giorno dell'anno, e questo verbo è «nascere». Nasco più intensamente quando accolgo la chiamata per cui sono nato, quando abbraccio e parlo e ascolto l'amore che mi è posto accanto. Nasco più intensamente quando perdono. Nasco più intensamente quando ho il coraggio di perdermi e di ritrovarmi. Nasco più intensamente quando amo la vita, nonostante tutto e tutti. Nasco più intensamente quando mangio quel Pane e mi nutro di Dio. Nasco quando mi partorisco nelle scelte difficili, che, certo, tolgono qualcosa in me, ma proprio per questo mi formano come un'opera d'arte.
Nascere. Un avvenimento che normalmente situiamo al principio della vita e che pensiamo possa accadere un'unica volta. Ora, il Natale ci consegna il verbo nascere come un programma di vita, una mappa sempre da completare, sempre da rifare. Quel bambino che il Natale celebra dice a ciascuno: «E adesso nasci tu». E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, perché anche noi nascessimo. (Ringrazio Alessandro D'Avenia, «L'arte di ritrovarsi», Corriere della Sera del 24 ottobre 2021, e Josè Tolentino de Mendonca, «E adesso nasci tu», Avvenire del 23 dicembre 2023, per l'ispirazione)