Omelia (17-06-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 5, 43-48 Il comandamento dell'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento della Legge (v.17). A questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato dell'astensione dall'ira e dell'immediata riconciliazione (vv.21-26), del rispetto verso la donna (vv.27-30) e la propria moglie (vv.31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv.33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv.38-42). Il principio dell'amore del prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e salutare tutti senza discriminazione. La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico. Questo vertice dell'ideale evangelico si può comprendere solo alla luce dell'esempio di Cristo (cfr Lc 23,34) e dei suoi discepoli (cfr At 7,60). Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio del male che ha fatto. Il precetto della carità non tiene conto delle antipatie personali e dei comportamenti altrui. Il prossimo di qualsiasi colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso. Il comandamento dell'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizionali dell'uomo. La benevolenza cristiana non è filantropia, ma partecipazione all'amore di Dio. La sua universalità si giustifica solo in questa luce: "affinché siate figli del Padre vostro (v.45), e "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (v. 48). Il cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti. L'amore del nemico è l'essenza del cristianesimo. Sant'Agostino ci insegna che "la misura dell'amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio. In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare al loro Padre nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione. La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione dell'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se ingiusti e malvagi. Il cristiano è una nuova creatura (cfr 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci, ma conformemente alla vita nuova in cui è stato rigenerato. Gesù pone come termine della perfezione l'agire del Padre, che è un punto inarrivabile. L'imitazione del Padre, e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma dell'agire cristiano, l'unica via per superare la morale farisaica. Essere perfetti come il Padre è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica sottomissione alla volontà del Padre, e nella sua dedizione ai fratelli. E' perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori del Padre. |