Omelia (19-01-2025) |
diac. Vito Calella |
Diventare “la gioia di Dio” Il segno dell'acqua trasformata in vino nelle nozze di Cana «fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù». In esso «egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,12). Dal giorno di Natale stiamo celebrando la "manifestazione" del «Salvatore, il Cristo Signore» (Lc 2,11b), rivelato ai pastori! Egli è «la vera luce che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), manifestata a tutti i popoli del mondo, simbolizzati dai magi d'oriente nel giorno dell'Epifania. Nel giorno del Battesimo, celebrato domenica scorsa, il proprio Dio Padre lo rivela al mondo come «il suo Figlio, il prediletto» (Lc 3,22), che fa propria la missione del servo, annunciata nei quattro canti del libro della Consolazione del profeta Isaia (Is 42,1-7; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Il segno dell'acqua trasformata in vino nelle nozze di Cana realizza la profezia del terzo Isaia, scritta dopo l'esilio di Babilonia, al tempo della ricostruzione del tempio e della città di Gerusalemme, che erano stati distrutti dai babilonesi. Era veramente un nuovo inizio, cantato come se fosse la festa di un nuovo matrimonio tra Dio e il suo popolo, simbolizzato nella personificazione di Gerusalemme. Per noi cristiani Gesù di Nazaret è veramente il Messia sperato che offre a tutta l'umanità «la giustizia come aurora e la salvezza risplendente come una lampada» (cfr. Is 62,1b). Ogni domenica, rappresentanti di tutti i popoli del mondo, riunendosi attorno alla mensa della Parola e dell'Eucaristia, per celebrare la centralità dell'evento della morte e risurrezione di Gesù sacerdote servo, già contemplano «la sua giustizia e la sua gloria» (Is 62,2a)! In quest'anno giubilare essi vogliono diventare "pellegrini di speranza", testimoniando a tutti che, per Cristo, con Cristo e in Cristo, non si sentono «abbandonati e devastati / desertificati» (cfr. Is 62,4a) dai "demoni" scatenati dall'esaltazione idolatrica dell'Io umano, del denaro e del sapere tecnico-scientifico, applicato per dominare e manipolare, senza rispetto, tutti i beni naturali, a servizio del lucro economico di pochi. Nonostante le tante guerre, ingiustizie e devastazioni naturali, si sentono «prediletti della Santissima Trinità e ben sposati» (cfr. Is 62, 4b). Tra questi rappresentanti di tutti i popoli del mondo ci vogliamo essere anche noi e ci vogliamo identificare con la sposa Gerusalemme, per condividere tra noi la gioia promessa dal profeta: «come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5b). Tutti insieme, in Cristo, vogliamo essere «la gioia della Santissima Trinità». Ciascuno di noi, in comunione con tutti i fratelli e sorelle del mondo intero, che perseverano nella fede in Gesù Cristo, crocifisso e risuscitato, con l'aiuto essenziale dello Spirito Santo, senta il desiderio di essere "pellegrino di speranza", manifestando gioia da tutte le espressioni della sua corporeità vivente perché, a dirla con le parole di don Piero de Marchi (+ il 18/05/2024), «la cosa più inaudita, più inimmaginabile, più incredibile è proprio questa: che io sia la gioia di Dio, che io possa dare gioia a Dio. É come dire: la sete è gioia della sorgente; la goccia rallegra l'oceano, l'atomo l'infinito, l'attimo l'eterno». In che modo posso veramente diventare la gioia di Dio, contemplando il messaggio del racconto della manifestazione divina di Gesù nelle nozze di Cana? Io divento la gioia di Dio Padre imitando «la madre di Gesù», citata tre volte nella prima parte del racconto evangelico (Gv 2,1b.3a.5a). Maria non è mai citata esplicitamente nel Vangelo di Giovanni, perché può essere contemplata come la figura simbolica degli appartenenti al popolo di Israele (popolo delle "nozze" della prima alleanza), che si rendono conto dell'inconsistenza dell'iniziativa umana nel praticare i comandamenti della Legge mosaica e riconoscono in Gesù il Messia, cioè lo "sposo" della "sposa" Umanità, venuto nel mondo per celebrare la nuova ed eterna alleanza «nell'ora» finale della sua vita. La preoccupazione della madre di Gesù nel constatare che «non hanno più vino» (Gv 2,3b) ci faccia capire che non possiamo mai confidare ciecamente nelle nostre forze umane, nella nostra buona volontà, nelle potenzialità della nostra ragione e nella capacità di esercitare la nostra libertà individuale, indipendentemente dal ricorso essenziale all'albero della vita della Parola di Dio! Io divento la gioia di Dio Padre quando, in comunione con tutti i miei fratelli e sorelle in Cristo, «riempio le anfore d'acqua fino all'orlo» (Gv 2,7), obbedendo alle ultime parole di Maria attestate nei Vangeli: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Quelle sei anfore riempite d'acqua fino all'orlo, nel linguaggio simbolico dell'evangelista Giovanni, possono rappresentare tutta la rivelazione biblica contenuta nei libri dell'Antico Testamento. La gloria di Dio è innanzitutto la rivelazione della sua storia di salvezza, che è un "peso di valore" (significato etimologico di "gloria"), contenuto in tutta la tradizione biblica della Legge, dei Profeti e dei libri sapienziali. La Parola di Dio è come acqua che ristora, purifica, aiuta a rispettare e a promuovere la vita. Se Gesù ordinò ai servi di riempire le sei anfore fino all'orlo, voleva comunicare la sua consapevolezza di essere lui la Parola definitiva e completa della rivelazione del mistero della Santissima Trinità, che da sempre prende l'iniziativa primaria di andare a salvare l'umanità e rinsaldare la comunione, l'alleanza nuziale con essa. Io divento la gioia di Dio quando mi innamoro della Parola di Dio! Scopro in essa l'enorme abbondanza e ricchezza di sapienza e luce per la mia esistenza terrena e contemplo in Gesù Cristo, con sincera gratitudine «la Parola di Dio che si è fatta carne» (Gv 1,14), venuta per donarmi «grazia e verità» (Gv 1,17b). Non solo mi innamoro della Parola di Dio, ma, come Maria, invoco incessantemente lo Spirito Santo affinché riesca a mettere in pratica i suoi insegnamenti, interpretati alla luce di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, attestato nei Vangeli e negli altri libri del Nuovo Testamento. Io divento la gioia di Dio Padre quando «consegno al dirigente del banchetto l'acqua trasformata in vino» (cfr. Gv 2,8). Il personaggio «dirigente del banchetto», che doveva essere il capo della servitù e l'organizzatore della festa delle nozze, viene citato tre volte nella seconda parte del racconto evangelico (Gv 2,8b.9a.10a). Tenendo presente il linguaggio simbolico dell'evangelista Giovanni, potrebbe rappresentare qualsiasi persona di buona volontà, in grado di gestire la sua vita con buon senso. Egli potrebbe rappresentare il cercatore di Dio che ancora non ha scoperto il dono sovrabbondante dello Spirito Santo, ma noi si! Nella sovrabbondanza di vino di primissima qualità, risultato dalla trasformazione dell'acqua, possiamo davvero contemplare il dono della gratuità dell'amore divino effuso nei cuori di ogni uomo e donna del mondo «nell'ora» in cui Gesù ha donato tutto se stesso, quando è stato crocifisso ed è stato risuscitato dalla forza dello stesso Spirito Santo, que lo ha sempre mantenuto in comunione con il Padre, nel vincolo indissolubile dell'obbedienza. Grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, la mia fede in Cristo permette allo Spirito Santo di agire in me e, in comunione con i miei fratelli e sorelle in Cristo, scopro la bellezza della vocazione che il Padre ha pensato per me, sentendomi figlio amato e «amico, personalmente scelto da Gesù» (cfr. Gv 15,16). Allora divento la gioia di Dio Padre quando riscopro la mia dignità di essere membro vivo del Corpo di Cristo, offrendo a tutti quelli che incontro nel cammino della mia vita la stupenda scoperta del «vino» dello Spirito Santo, capace di trasformare le fragili capacità umane in azioni che promuovono pace, riconciliazione, perdono, rispetto della vita dell'altro. Lo Spirito Santo agisce in ciascuno di noi con una bellissima creatività, facendo scoprire in ciascuno di noi doni e carismi che diventano ministeri, come ci insegna la Parola di Dio per mezzo dell'apostolo Paolo (cfr. 1Cor 12,4-11). Così, in questo anno giubilare, possiamo «annunciare a tutti i popoli le meraviglie del Signore» (Sal 95,3) cominciando con il condividere tra noi i numerosi piccoli segni di speranza che già fanno regnare il Signore Gesù nelle situazioni difficili delle nostre esistenze fugaci e vulnerabili e nelle tragedie tenebrose della storia dell'umanità. |