Omelia (01-02-2025) |
Missionari della Via |
Da una parte c'è Gesù che riposa nel bel mezzo della tempesta. Dall'altra ci sono i discepoli che, nonostante la sua presenza, si sentono perduti. L'evolversi della situazione ci fa capire che il riposo di Gesù non era dovuto a una stanchezza micidiale ma ad un atteggiamento profondo opposto a quello dei discepoli. Loro si fanno prendere dalla paura, si sentono perduti, dubitano che al Signore importi di loro; Gesù invece riposa fiducioso nel Padre. La differenza non è data dalla situazione esterna (sia Gesù che i discepoli affrontano la tempesta) ma dall'approccio interiore. Così è per noi: quando arrivano le tempeste, quando affrontiamo momenti critici, quando attraversiamo situazioni difficili, possiamo poggiarci su Cristo o lasciarci travolgere dalle nostre paure; possiamo aggrapparci a Lui o prendercela con Lui. Possiamo fissarci su di Lui e galleggiare o guardare solo ai problemi e affondare. Sì, nella tempesta possiamo affidarci a Lui o dubitare di Lui. In fondo, qual è l'invito che il testo ci propone? Invocarlo, "svegliarlo", certi che Lui è più forte delle nostre tempeste e che, al momento giusto, farà tornare la bonaccia. Lui è qui, nella barca della Chiesa, nella barca della nostra anima: "non lasciamolo in pace". Chiamiamolo, invochiamolo, cerchiamolo, aggrappiamoci a Lui senza scoraggiarci, senza disperarci. Dio è più grande, Dio è più forte. In Lui non dobbiamo temere. «In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t'importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: "Non t'importa di me?". È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati. La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di "imballare" e dimenticare ciò che ha nutrito l'anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente "salvatrici", incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell'immunità necessaria per far fronte all'avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri "ego" sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l'appartenenza come fratelli... «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L'inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai» (papa Francesco). |