Omelia (02-02-2025) |
don Andrea Varliero |
La festa dell' incontro «Hypapantì» è una parola lontana, una parola greca che evoca quasi una danza, significa «incontro». Oggi è la festa dell'«Hypapantì»: è la festa dell'incontro. Si incontrano oggi due riti, due liturgie, due mondi: quello orientale e quello occidentale. Una festa di luce nata alla corte dell'imperatore che aveva fondato la nuova città, Costantinopoli, Bisanzio, con i suntuosi drappi, i preziosi ori, i forti incensi, le esaltanti lucerne, dedicati all'unico imperatore: Gesù Cristo. Migliaia e migliaia di candele illuminano oggi il Santo Sepolcro a Gerusalemme. C'è una liturgia bizantina che incontra la liturgia romana, più austera e convenzionale, quasi militare nella sua essenzialità: è bello che si ritrovino a parlarsi a lume di candela. È la festa dell'incontro tra Occidente e Oriente, un abbraccio di liturgie. Si incontrano oggi due età: la giovane coppia con il Bambino sono accolti da Simeone ed Anna, due anziani che abitano al Tempio da una vita. Quasi due senza fissa dimora, se non nel Tempio. Due mendicanti di attesa. Li incontro spessissimo: sono i nostri anziani di casa, qui, nelle nostre chiese. Sono loro a tenere viva la fiducia, ad allenarci all'arte dell'ascolto e della pazienza. «Nessuno disprezzi la gente anziana che viene nelle nostre Chiese. Molti pensano che siamo in crisi solo "perché ormai ci sono solo quattro vecchie che vanno a Messa ogni giorno". In realtà c'è speranza proprio perché c'è quella gente lì che prega. E importa poco se biascicano. Importa poco se pensiamo che siano lì perché non hanno nulla da fare. Noi siamo in piedi perché quei vecchi sono lì in ginocchio. Nessuno disprezzi mai più la gente anziana che popola le nostre Chiese. Sono colonne, non sedie rotte» (L.M. Epicoco). Sono i loro occhi profondi come la vita a riconoscere in quel Bambino la Salvezza che entra come novità. È la festa dell'incontro tra le generazioni, un abbraccio tra un vecchio e un bambino. Si incontrano due feste, oggi: quaranta giorni fa abbiamo acceso una candela, una luce intima che non disturbi il dolce sonno di un neonato, la gioia di tenere tra le braccia un bambino. La luce del Natale. Tra poco inizierà il nostro pellegrinaggio verso un'altra candela, una luce immensa capace di illuminare questo Tempio dopo la notte della Croce. La luce della Pasqua. Questa festa, alla stessa luce, mi suggerisce che Dio muore per diventare bambino tra i bambini, che Dio risorge per diventare uomo tra gli uomini. È la festa dell'incontro tra Natale e Pasqua, un abbraccio tra il Bambino e il Risorto. Si incontrano due realtà, oggi: la notte e la luce. Le mie notti, le notti della Storia, le notti insonni dell'umanità. La gioia più grande, la luce più bella vista e assaporata, è stata quella di aver visto sorgere l'aurora. Dapprima il canto degli esseri viventi, poi il vento che il sole porta con sé, e infine la luce che restituisce forma e vita al giorno. È la festa dell'incontro tra la notte e il giorno, un abbraccio quotidiano tra morte e vita. Si incontrano oggi due volti: un popolo particolare e un respiro universale. Lo intona Simeone con la sua melodia: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Israele e tutti i popoli: uno di fronte all'altro, uno volto dell'altro, uno che non può vivere senza l'altro. La luce e Gloria, il mistero inaccessibile di Dio e il Dio uomo stanno volto a volto. Solamente insieme potranno vivere, solamente accordandosi potranno rendere questo mondo un giardino. È la festa dell'incontro tra un popolo particolare e un respiro universale, un abbraccio di umanità possibile. Teniamo tra le mani un cero acceso, oggi: odoriamo il profumo della cera, le nostre pupille sono illuminate da una fiamma viva. È un essere vivente, respira ossigeno come me. Si consuma a poco a poco come la nostra vita, ma è per questo che questa candela è nata: per consumarsi, per essere un dono capace di portare luce. È una fiamma fragile, basta un po' di vento e si spegne. Eppure, è forte, riesce a riempire metri cubi su metri cubi di buio. Non c'è notte, non c'è profondità, non c'è buio, che non possano essere abitati dalla luce. Mi rasserena questa fiamma accesa, mi dona speranza e forza, mi educa al dono. È vero: non sempre la vita è comprensibile. È vero: non sempre al dolore c'è risposta. È vero: non sempre i giorni sono belli e le persone sono decifrabili. Ma sempre, sempre, sono abbracciabili. È la festa dell'incontro: è un abbraccio. |