Omelia (02-02-2025)
Paolo Curtaz
Due minuti

Salgono al tempio col bambino per la purificazione, come prescrive la Legge.
Secondo le prescrizioni dell'Antico Testamento, riguardo alla purezza cultuale (Lv 12,1-8), una donna era impura dopo il parto di un bambino per quaranta giorni e doveva offrire al tempio, come sacrificio di espiazione, un agnello e una giovane colomba; se era povera, due giovani colombe.
Nel passato in questa giornata si benedivano i ceri che servivano ad illuminare le nostre chiese quando ancora non esisteva l'illuminazione elettrica. E sempre questa giornata, ancora oggi, rappresenta un momento importante per le persone consacrate che rinnovano la loro totale adesione a Cristo, il dono di sé al Padre, gesto richiamato dalla presentazione al tempio di Gesù.
E il valore di questa festa è rimasto talmente inciso nella memoria della liturgia che quest'anno, cadendo di domenica, finisce col sostituirla.
È una festa che richiama il tempo di Natale appena concluso, festa dal sapore sacro che odora di incenso: con la fantasia rivediamo le alte colonne che sorreggevano il portico di Salomone e i vasti cortili lastricati che immettevano nella zona più sacra del tempio di Gerusalemme.

Obbedienza
Salgono al tempio, anche se potrebbero farne a meno.
Tengono in braccio il Figlio del Dio che ha chiesto quel gesto di obbedienza, di sottomissione.
Portano con sé il mistero di ogni mistero, la luce di ogni luce.
Ma così è il Dio che si fa carne.
Non prende scorciatoie, non vuole privilegi, non accetta raccomandazioni.
Non si sente migliore, come forse faremmo noi.
Che guardiamo con sufficienza quelli che, pur dichiarandosi credenti, non hanno capito, non meditano, non praticano, non leggono Curtaz, vanno a messa per abitudine, fanno le catechiste per farsi vedere, fanno i preti per essere apprezzati e riconosciuti.
Che passano il tempo a criticare gli altri in cuor loro (parlo di me, non vi conosco) sentendosi, umilmente e santamente, qualche metro più avanti.
E che magari accolgono i genitori che vengono a chiedere il battesimo per il loro bambino come molti dottori della Legge e scribi guardano questa giovane coppia di provincialotti.
Con giudizio e sufficienza.
Maria e Giuseppe, pur potendolo, non si fanno legge a loro stessi.
Non si fanno una fede su misura.
Non si sentono privilegiati per quanto sta loro accadendo.
Obbediscono.
Ci stanno. Ci sono.

Tortore e colombe
Offrono una coppia di tortore e colombe. Un piccolo gesto per accompagnare la loro offerta, il dono del figlio, la restituzione del primogenito.
Come oggi versiamo un obolo per accendere un lume o per ricordare i nostri cari durante la celebrazione. Un piccolo segno.
Ma, nel tariffario del tempio, è l'offerta minima, quella dei poveri. Non dei taccagni.
Dio vuole nascere in un piccolo borgo perso fra le montagne. Da una coppia che lavora duramente e che non ha grandi possibilità.
Offrono Gesù. Offrono loro stessi.
E questa giornata ricorda proprio quell'offerta. E in questa giornata un tempo si benedicevano i ceri, ricordando la luce per le nazioni che Simeone vede riflessa in quel bambino. E in questa giornata i preti, le suore, i religiosi, rinnovano l'offerta della loro vita a Dio.
Si donano.
Sì, oggi è la giornata del dono di sé.
Per ribadire e ridire che la nostra vita non ci appartiene ed è donata, che fiorisce, che si unisce al grande progetto d'Amore che Dio ha sull'umanità.
Offriamo la vita a Dio. Che dona la vita - agnello portatore di colpe - per ciascuno di noi.
Ci spiazza, ancora, il Signore.
Non siamo noi a donarci. Lui, si dona.
Perché Dio non si cura degli angeli. Si cura di me.

Simeone
È vecchio, Simeone. Ha visto il tempio rinascere. Ora, dopo vent'anni dall'inizio dei lavori, vede quel luogo desolato rivivere.
Sono ripresi i sacrifici. Sono tornati i sacerdoti. E Gerusalemme è nuovamente la città verso cui salgono tutte le tribù per compiere gli olocausti, almeno tre volte l'anno.
Ma ha anche visto la rivalità fra i sacerdoti, e l'ingerenza romana che pretende di custodire le vesti sacre, e gli intrallazzi poco edificanti di chi gestisce il commercio degli animali da offrire.
E le nuove esigenze, i nuovi paramenti, le liturgie, gli incensi.
Tutto bello, tutto nuovo, tutto gigantesco, tutto impressionante.
Ma lui, Simeone, è al tempio da quando ancora le pietre tacevano riverse. E nessuno cantava o danzava. E la sensazione che porta nel cuore è quella della disillusione.
È quello, dunque, il nuovo Israele? Quella la rivincita di Dio? Quelle pietre sono la salvezza di Israele?
O non, piuttosto, dei religiosi e dei devoti esaltati?
Passeggia negli atri, il cuore rassegnato, in attesa della salvezza definitiva, del passaggio, dell'incontro. Come noi, assiste a volte impotente ad un cambiamento epocale e cerca di rintracciarne l'anima.
E li vede. Come molti altri li hanno visti.
Ma li vede col cuore.
Ora capisce. Ora sa. Tutto si illumina.

Ora lascia

Il suo cuore esplode.
Ecco Dio. Non nel tempio, ma nella carne morbida e odorosa di un neonato.
È colmo. È sazio.
È anziano, Simeone. Ottant'anni, forse.
E in due minuti di incontro tutto si fa luce. Tutti quegli anni acquistano senso.
Che Dio mi doni,
che Dio ti doni, amico, sorella,
quei due minuti
in cui tutto si fa luce e acquista senso.