Omelia (02-02-2025) |
don Alberto Brignoli |
Ora lascia che me ne vada, Signore Quanto dev'essere faticoso, a volte, dover vivere fino alla morte. Finché si è giovani, tutto questo pare assurdo: vivere non è una fatica, vivere è una gioia, è una grazia, è un'opportunità nuova ogni giorno, è la possibilità quotidiana di fare nuove esperienze, di costruire qualcosa di grande. Poi però il tempo passa, molti sogni stentano a farsi realtà, le esperienze negative influiscono sulle nostre scelte, e si resta disincantati di fronte alle opportunità che ci si presentano dinnanzi. Arriva un momento in cui addirittura si smette di provare esperienze nuove, ci si accomoda su ciò che si ha, ci si conforma con il poco o tanto che si ha a disposizione, e invece di "navigare al largo" si tirano i remi in barca e si cerca quantomeno di non perdere di vista la riva, di modo che, in caso di maltempo - la salute che inizia a fare scherzi - si corre ai ripari raggiungendo rapidamente il molo e mettendo in salvo lo scafo... Se la giovinezza è l'età della vita in cui si vuole gettare lo sguardo su tutto e su qualsiasi cosa, raggiunta la piena maturità umana si smette di guardarsi intorno e si fissa lo sguardo sugli obiettivi che si vogliono raggiungere: pochi, concreti, ben definiti e soprattutto poco onerosi, perché è bene vederci chiaro, prima che arrivi l'età in cui si fatica anche a vedere. A un certo punto non si vede più nulla; non si vede l'ora che esca la parola "fine" su questo palcoscenico della vita, sul quale riusciamo a proporre solamente spettacoli "poco esaltanti" da vedere, nonostante ci si affanni a coprire abilmente il passare degli anni, nascondendo le rughe sulla fronte e intorno agli occhi. Occhi che, a una certa età, sono pieni di lacrime più che di luce. A meno che ci si attenda ancora qualcosa dalla vita, magari un po' di felicità, magari un po' di consolazione: magari si sta veramente aspettando la Consolazione, quella vera, certo, quella che - lo dice la parola - ti fa stare con il sole e ti fa avvicinare a chi è solo per stare con lui. Ma per fare questo, per attendere la con-solazione occorre essere uomini "giusti e pii", retti e pietosi, onesti e pieni di attenzione verso gli altri, forti, saggi, intelligenti, attenti, profondi... insomma con lo Spirito Santo nel cuore. Come il vecchio Simeone, talmente aperto all'azione dello Spirito, talmente accorto e attento ai segni dei tempi, talmente assetato di con-solazione che lo Spirito Santo gli aveva annunziato che anch'egli avrebbe visto la morte. Come tutti, del resto. Ma prima avrebbe dovuto continuare a guardare, ad aprire gli occhi, a non fissarsi sulle cose, a muovere lo sguardo. Perché così, e solo così, un giorno lui sarebbe stato "mosso": mosso dallo Spirito verso il tempio, casa e luogo della presenza di Dio, perché i suoi occhi potessero vedere, prima della morte, la presenza di Dio, la casa di Dio in mezzo agli uomini, il luogo privilegiato, il Consacrato, il "Cristo del Signore" nella storia. Simeone non riscatta una vita scialba, ovvia e affaticata con un gesto finale che sa di grazia o di miracolo; Simeone porta a compimento una vita di giustizia e di pietà tenendo aperti gli occhi sulla grazia di Dio fino all'ultimo istante. E Dio lo premia. Dio non opera salvezze miracolose riscattando le persone all'ultimo istante con una conversione lampo; Dio mostra la sua salvezza a chi non smette mai di tenere aperti gli occhi sul mondo, sulla bellezza della vita, sullo stupore di un dono, sulla giustizia e sulla pietà, sulla Parola che salva. Quella Parola secondo la quale Simeone può invocare la morte, non per disperazione, ma come compimento della Salvezza da lui finalmente contemplata: "Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua Parola, perché i miei occhi han visto la tua salvezza". E nessuno di noi ha motivo di dubitare che Dio gliel'abbia concesso in dono, anche se il Vangelo esplicitamente non lo dice. Anzi, il Vangelo fa uscire di scena Simeone con qualcosa che certamente non lo esalta: profetizza una vita di dolori a una giovane madre entusiasta e riconoscente per il dono della maternità. Ma questa è la giustizia di Simeone: prendere in braccio il Bambino, lodare Dio, chiedere la fine della propria esistenza in nome della fedeltà a lui, e fare immediatamente chiarezza intorno alle cose di Dio, che vanno rivelate insieme ai pensieri di molti cuori. D'altronde, Simeone ha preso tra le sue mani la Luce (come facciamo noi, quest'oggi, con il rito della Benedizione delle Candele) non certo per metterla sotto il tavolo, ma perché faccia luce a tutti coloro che la riceveranno, caduta e risurrezione al tempo stesso. Rovina o salvezza: da cosa dipende? Questione di occhi; di occhi limpidi e aperti alla grazia, sempre, senza stancarsi, notte e giorno, tra preghiere, servizi e digiuni, come Anna, l'ottantaquattrenne profetessa, vedova, simpatica compagna di Simeone. Non una compagna nella vita, bensì nella lode e nell'attesa della salvezza. Ora possiamo davvero chiudere il sipario sul Natale; ora possiamo definitivamente chiudere il telone sul palcoscenico di queste due attempate e gloriose storie di fedeltà. I loro occhi non hanno mai smesso di cercare Dio. E ogni notte, la Chiesa, da secoli, li indica modello di fedeltà, chiudendo la giornata con la Compieta, utilizzando le parole di Simone: "Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua Parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza". |