Omelia (02-03-2025) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Sir 27,5-8; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45 «È una questione di sguardo». Così potrebbe essere sintetizzato il messaggio delle letture di questa ottava domenica del tempo ordinario. Uno sguardo da controllare, soprattutto da purificare. Una questione di sguardo e una questione di parole, come ci ricorda lo scriba Ben Sira, l'Autore del libro del Siracide, una raccolta di sentenze che esprimono quella saggezza che ognuno di noi dovrebbe cercare di raggiungere e di coltivare, perché « il frutto dimostra come è coltivato l'albero e la parola rivela i pensieri del cuore». Possiamo anche nasconderli, i pensieri del nostro cuore, ma ci sarà sempre un momento in cui la parola ci tradirà e rivelerà le nostre più segrete mire, spesso inconfessabili. Ci sarà sempre un giorno in cui l'addomesticamento della realtà, le bugie, la dissimulazione, l'astuzia volpina del potente di turno, per salvare la sua reputazione e per condurre il suo progetto di potere e di oppressione, in cui le fake news che circolano indisturbate nei nostri giorni così faticosi, saranno smentite. Forse saremo ingenui, sognatori, sempliciotti, «anime belle», insomma, secondo l'ironico complimento del pragmatico assertore del realismo della politica, a crederlo. Ma è davvero questione di occhi. Ed è questione di quegli stessi occhi con i quali si apre il racconto del Primo Testamento, occhi non limpidi come quelli dei nostri progenitori: «Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male...Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò...Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture (Genesi, 3,5-7). «C'è un'amara ironia - commenta con estrema lucidità Lidia Maggi - in queste parole che evocano un'apertura che porta ad una chiusura, una conoscenza onnivora, che si appropria di quel tutto che il racconto rende con i due poli opposti del bene e del male. Quel tutto che lascia senza niente. Sapere è potere? Qui, il sapere immemore del limite lascia allo scoperto. Lo sguardo del serpente, fatto proprio da entrambi gli umani, sguardo appropriativo, che divora il mondo vedendolo come strumento per la propria realizzazione, si ritrova a fissare la propria nudità. Triste scoperta e del conseguente imbarazzo: se guardi l'altro con gli occhi del serpente e ti senti da lui guardato allo stesso modo, l'unica cosa che puoi fare è metterti addosso qualcosa che copra quella pericolosa nudità». («Famiglia domani», 4/2024). Sì. È proprio una questione di sguardi, una questione di occhi: quegli occhi che, mentendo, non osano guardare il volto dell'altro, si abbassano; e provate a contare quante volte nella Bibbia si trova l'espressione « Alzò gli occhi». E quante volte ci troviamo di fronte a occhi bassi... Gesù, sincero fino alla spasimo, non è una persona finta, non ama le persone finte. E non tiene gli occhi bassi, neppure di fronte al sommo sacerdote e a Pilato. «Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio', mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave che è nel tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello». Qui viene chiamata in causa la nostra responsabilità. Dovremmo prendere sul serio e fare nostra quella stupenda espressione di papa Francesco quando dice: «Chi sono io per giudicare?». Chi sono io per giudicare quella coppia che i benpensanti considerano un po' scalcagnata perché...«non sono neanche sposati... convivono...», mentre forse possono insegnare a noi, che ci sentiamo buoni, puri e perfetti, come possa essere profondo un amore; chi sono io per giudicare quel prete che ha chiesto di essere ridotto allo stato laicale perché non se la sentiva di vivere l'obbligo del celibato; chi sono io, che mangio abbondantemente tutti i giorni, per giudicare quella persona che, spinta dalla fame sua e dei suoi piccoli, ha rubato un pacco di gallette al supermercato? Potremmo continuare. Tutti hanno la propria pagliuzza nell'occhio, ma il mio peccato, la mia autogiustificazione e la mia pretesa di perfezione - la trave che ho nel mio occhio - annebbiano la mia capacità di un giudizio sereno e la benevolenza che devo conservare verso tutti. In questo senso, è proprio una questione di sguardi. L'evangelo di questa domenica ci invita ad avere lo stesso sguardo di Gesù, uno sguardo di benevolenza non certo colto dai ricchi, dai potenti, dalle èlites del tempo (ma in realtà di tutti i tempi), bensì dalle categorie più indifese della popolazione: gli ultimi, i poveri, gli orfani e le vedove, i bambini, i peccatori, i ciechi e gli storpi, le prostitute. Loro, sì, attratti dallo sguardo benevolo, non giudicante, di Gesù. «Beati», come leggevamo nell'evangelo della sesta domenica, perché avvolti dalla misericordia del loro Signore. Una misericordia che siamo chiamati a esercitare anche noi, «anime belle» che non si rassegnano all'odio nei confronti degli immigrati da parte dei sovranisti che nelle pubbliche piazze sventolano crocifissi e rosari, che non si rassegnano al fatto che, in una Sanità colabrodo, le famiglie povere rifiutano di curarsi per mancanza di fondi; che non si rassegnano allo sperpero di denaro pubblico nell'acquisto di strumenti sempre più sofisticati di morte. Il non rassegnarsi equivale a seguire Gesù, il Maestro, nelle sue parole e nei suoi giudizi. Saper coniugare lotta e contemplazione. È davvero una questione di sguardo. Di benevolenza.
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