Omelia (16-02-2025) |
don Michele Cerutti |
La via della beatitudine Gesù ha appena iniziato a muovere i suoi primi passi nel ministero e ha bisogno dei suoi collaboratori. Domenica scorsa abbiamo visto il Maestro chiamare i discepoli. Questa domenica offre loro l'insegnamento per rendere il loro discepolato realtà concreta presentando la via della perfezione. Da questi versetti comprendiamo che quello che viene proposto non è ideologia, ma è la fede in Cristo, quindi in una persona, e scaturisce dall'intimità con Lui. Colpisce come Gesù, prima di offrire queste indicazioni, ha gli occhi rivolti in alto verso di loro. Il Maestro ci viene presentato come piegato e inginocchiato davanti ai discepoli. Questo è già il primo grande insegnamento che Gesù si mette in mezzo ai suoi non per essere servito, ma per servire e che quello che Lui consegna a loro è prima di tutto vissuto da Lui stesso. Il seguito è la via stretta, agli occhi del mondo, del Vangelo dove vengono esaltate realtà che sono controcorrente come la povertà, la fame, il pianto e la persecuzione. Di contro i guai sono contro i ricchi, i sazi, gli spensierati e gli osannati dal mondo. Uno potrebbe replicare "ma allora il cristianesimo è solo via di tristezza". La logica del mondo ci fa pensare che il non avere problemi è l'unica via possibile, che bisogna abbracciare. Siamo bombardati da immagini che ci conducono veramente a pensare in una logica di libertà senza limiti che ci porta poi inevitabilmente a tutte le forme di schiavitù che l'uomo contemporaneo vive. Pensiamo alle grandi piaghe che si diffondono dall'azzardo e quindi alla ludopatia, agli acquisti compulsivi e alle tante dipendenze che si diffondono. Lo scenario è il contagio, non della gioia ma della tristezza, che ci fa vedere in ogni notizia di cronaca una cartina tornasole di quello che viviamo. Soffermandomi a leggere la vita dei grandi testimoni mi rendo conto sempre di più che la via del Vangelo, che a prima vista può essere impegnativa, è stata quella che hanno percorso queste donne e questi uomini in mezzo alle difficoltà, ma tenendo fisso lo sguardo verso la meta. In questo mese di febbraio mi vengono in mente, mentre scrivo queste riflessioni, uomini del calibro del Cardinal Stepinac, pastore di eroica fortezza, vissuto in un contesto di persecuzione e morte che non è da noi poi così lontano. Stepinac passerà alla storia come il cardinale che «ha attraversato e fatto attraversare l'oceano del marxismo rosso» ed anche in Cielo lo vedremo coronato di porpora: la porpora del suo cardinalato vissuto eroicamente, la porpora del martirio di sangue, la porpora di quelle rose vermiglie che la Madonna gli avrà posto sul capo ad ogni Ave Maria da lui recitata. La figura del Beato don Giuseppe Rossi che la mattina del 26 febbraio 1945, quando i partigiani garibaldini della Brigata Torino tendono un'imboscata agli uomini della 29° Brigata Muti, durante la quale due di questi vengono uccisi e molti altri feriti, non si lascia coinvolgere. In quel mentre, il campanile della parrocchia scocca lentamente le nove: quei rintocchi vengono interpretati come il segnale convenuto per i partigiani. Pur sapendo che la sua vita è in pericolo, don Giuseppe si rifiuta di fuggire per i monti insieme agli uomini e ai giovani, preferendo fare da baluardo ai più deboli, rintanati in casa in attesa della rappresaglia, che non tarda ad arrivare: i fascisti incendiano alcune case, razziando il poco che trovano e rastrellando 45 persone, per lo più donne ed anziani, sottoposti ad interrogatori e vessazioni. Come il pastore buono che all'arrivo del lupo non fugge, don Giuseppe passa dall'uno all'altro a confortare, incoraggiare, assolvere e preparare ad una morte che in quei momenti appare inevitabile, anche se più d'uno sarà poi disposto a giurare di aver sentito il loro parroco dire a mezza voce, come se parlasse a se stesso: «Prima di voi ci sono io», «Sarò io ad essere ammazzato». Verso sera, inaspettatamente, tutti vengono liberati e ritornano a casa, compreso don Giuseppe. I parrocchiani allora si fanno in quattro per consigliargli di abbandonare il paese e fuggire sui monti, ma lui rifiuta, sempre appellandosi a quanto sente di essere: il pastore buono che per il gregge deve dare anche la vita, perché sa che la sua fuga esporrebbe il paese al rischio di una nuova rappresaglia. Prima di notte i fascisti tornano in canonica, lo prelevano così com'è, con le pantofole ai piedi, e lo trascinano fuori paese. Da quel momento di lui non si hanno più notizie, fino al 4 marzo, quando i parrocchiani vanno a cercare il loro prete giù nel vallone, seguendo le indicazioni di una ragazza che ha ricevuto una confidenza da uno degli assassini, perseguitato dal rimorso. Ognuno potrà aggiungere uno dei testimoni che si è fatto amico nel corso degli anni e troverà che la via che Gesù ci offre si può percorrere se si è capaci di dare ordine alla propria vita. |