Omelia (16-02-2025)
don Giacomo Falco Brini
La felicità è paradossale

Secondo Luca evangelista, per proclamare le beatitudini Gesù scende con gli apostoli in un luogo pianeggiante, non sale su una montagna (cfr. Matteo). Le due diverse indicazioni non sono contraddittorie, spiritualmente parlando. Per ascendere bisogna discendere, come Dio ha fatto in Gesù Cristo. E certamente le beatitudini sono come una mappa per potersi ritrovare in Dio, anche se Luca ne conta solo 4 (Matteo invece 9), aggiungendovi i severi ammonimenti come "guai" per alcune categorie di persone. Ogni volta che leggo le beatitudini, viene subito da pensare quanto sia paradossale la felicità per la nostra fede. Ciò che il mondo rifugge, ciò che il mondo vede come disgustoso e stolto, anzi, ciò che il mondo evita di guardare, Dio lo proclama beato. Povertà, fame, pianto, sofferenza procurata da odio, disprezzo, insulto ed esclusione: queste condizioni in cui si può trovare l'essere umano, chiunque egli sia, dovunque egli si trovi, sono l'anticamera della felicità, quella parola che ogni cuore umano rincorre per tutta la vita, perché se l'uomo la desidera vuol dire che esiste.
Di chi fidarsi nella vita per trovare la felicità? Questo è l'amletico dilemma dell'uomo postmoderno. Sono apparsi sulla faccia del pianeta nuovi profeti e guru (il vangelo lo ha ampiamente previsto) che si propongono sul web e su altri palcoscenici come guide e punti di riferimento che parlano di felicità e aiutano a trovare la felicità. Si tratta soprattutto di figure che spesso offrono una (presunta) nuova sapienza per raggiungerla. Ma il vero credente non dimentica quanto Paolo ha lasciato scritto: anche noi parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Cor 2,6-8). Noi cristiani sappiamo qual è la strada che conduce alla felicità: è la stessa che ha percorso nostro Signore Gesù Cristo.
Questa strada difficile tracciata da Gesù è l'unica che non delude, perché non illude. È sommamente interessante notare come Luca dichiara beati già nel loro presente doloroso poveri, affamati, afflitti e oppressi, perché hanno un futuro assicurato: si ritroveranno in Dio perché Dio è già dalla loro parte. Questa fede ha il potere di farli rallegrare, anzi, esultare nella sofferenza. Come sia possibile ciò, ovvero gioire nella sofferenza, Pietro ce lo spiega con queste parole: è una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente (1Pt 2,19). E Francesco di Assisi invece lo farà scrivere dettando a frate Leone queste parole: "...che nel subire ogni sorta di ingiurie, pene e altri disagi con pazienza e allegrezza, ivi è perfetta letizia". Il grande, meraviglioso mistero della nostra fede sta che nella Croce del Signore c'è la sorgente della felicità. Ma questo è anche scandalo per il pensiero religioso comune e stoltezza per il sapiente di questo mondo (cfr. 1Cor 1,23). Patire a causa del Figlio dell'uomo certifica l'autenticità del discepolato e garantisce una ricompensa grande nel cielo, poiché allo stesso modo agivano i loro padri con i profeti: lungo tutta la storia della salvezza, gli amici di Dio sono sempre stati trattati così dai potenti.
Come accennato in apertura, Luca spende parole di grave ammonimento per i ricchi, per quelli hanno la pancia piena, per quelli che bastano a sé stessi vivendo appagati di ciò che possiedono, per coloro che se la ridono e vivono del consenso altrui. Il regno di Dio non può essere per loro. Mi sembra importante qui richiamare quanto dice Geremia nella 1a lettura: maledetto l'uomo che confida nell'uomo e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. È una chiave di lettura molto luminosa per comprendere le beatitudini. L'uomo che costruisce la sua vita e pone la sua sicurezza su ciò che non regge all'urto del tempo e della morte, è un uomo che non ha futuro, perché si allontana da Dio. O meglio, non curandosi di Dio e delle sue parole, il suo futuro sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene e dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine dove nessuno può vivere. E Gesù riecheggia questa efficace immagine annunciando il capovolgimento della situazione di costoro: avete già ricevuto la vostra consolazione, avrete fame, sarete nel dolore e piangerete. Il bello è che di costoro si diceva solo un gran bene: i falsi amici di Dio nella storia sono sempre stati lieti di essere circondati da uomini potenti e di essere da loro accreditati. Preoccupati di una buona reputazione da difendere, non si sono lasciati convertire dalla sapienza della Croce. Detto questo, è allora urgente convertirsi uscendo dall'inganno di ciò che alla lunga non lascia felici. Basta ritornare al Signore con tutto il cuore, perché è benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia.