Omelia (16-02-2025) |
don Andrea Varliero |
Il volto delle Beatitudini «Oggi leggo le beatitudini. Leggo, non predico. Le beatitudini non si predicano: non sono per gli altri, nessuno può darle a parole. Se le predico, tutti notano che io ne sono fuori. Cristo no, lui solo parla dal di dentro di ogni beatitudine: lui povero, mite, pacifico, misericordioso, lui il percosso, il morente. Che non si possano predicare, l'ho capito bene in un lontano Ognissanti, quando mi fu imposto dietro minaccia: "Tu prete, oggi non predicherai!" E quel giorno il prete ha letto soltanto: ma nel leggere egli piangeva e gli altri piangevano. Le parole che hanno la virtù di far piangere, o di gioia o di vergogna, non si predicano» (don Primo Mazzolari). Ci sono momenti in cui fermarsi, in cui le parole risultano maschere per nascondersi, o in più, come ogni parola davanti alle beatitudini. Allora posso guardare le beatitudini come un volto, una coscienza. Diversamente dal Vangelo di Matteo, qui in Luca Gesù non è salito in cima alla montagna: è rimasto nella pianura, assieme a tutti noi. Come una stella, tutti sono stati attratti verso di Lui. Non si siede in cattedra in modo solenne, ma semplicemente ci si guarda negli occhi, volto a volto, Gesù e i discepoli. È sempre più raro. Fissandoli negli occhi, pronuncia una parola immensa: «felici», «realizzati», «rialzatevi!», «in cammino!», così si può declinare quel «Beati». Per un attimo, assaporiamo la felicità di Dio, la sua stessa vita, la beatitudine. Eppure, una virgola dopo, ci si raggela il sangue: beati voi, che siete poveri; beati voi, che avete fame; beati voi, che avete sete; beati voi, che siete presi di mira. Tutto ciò da cui cerco di fuggire da una vita, tutto ciò che è la mia paura più profonda, tutto ciò che è l'infamia del mondo: ecco, proprio qui sta la felicità, la pienezza, la realizzazione. E non per un domani, per un futuro, per un dopo, ma già qui, ora. Sto ascoltando le parole di una persona fuori dal mondo. Felici i poveri: mi vergogno quasi a ripeterlo, mi sento ipocrita; non sono una poesia, né un romanzo a lieto fine, anzi ci mettono alla prova, toccano di noi corde che mai vorremmo toccare: impazienze, disumanità, fallimenti. I poveri che non cambiano, che non rispondono al nostro sogno, che ce ne raccontano di ogni, che evito per non avere fastidi. Nel loro volto, il volto di Dio. Felici gli affamati, e la fame esiste, non è una dieta. Felici gli assetati, e l'acqua non è scontata in altre zone del mondo. Felici i perseguitati per il Vangelo, e sono trecento ottanta milioni i cristiani perseguitati nel 2024, secondo la relazione di Open Doors a gennaio 2025. Un'era barbara. E dice felice anche a me: per la mia povertà, per la mia fame e la mia sete, per il mio piccolo o grande soffrire, in casa o in ufficio, per la sufficienza o la smorfia, quando parlo di Vangelo. Lì, in pianura, incontro il volto stesso di Dio. L'ho sempre pensato un volto ricco, pieno, di successo; invece, incontro il volto povero di Dio. Di solito, un ricco è divenuto tale perché ha fatto della vita un guadagno, un investimento, un calcolo; Lui, invece, puro dono, ha donato tutto ed è diventato povero, fino in fondo. L'ho sempre ritenuto un volto duro, che bastasse a se stesso, un volto autarchico; invece, leggo i lineamenti di uno che ha fame e sete, di noi. Lui desiderio, infinito desiderio: Dio affamato e assetato di essere mangiato e incontrato. Dio è disprezzato: gli attribuiamo parole e conseguenze che non gli appartengono. Gli si è persino aperto un ufficio della fede da parte del più potente presidente al mondo, che se sei ricco sei benedetto; se sei povero, sei maledetto. Bestemmia diventata realtà. Lui silenzio, povero e mendicante, lo confondiamo come uno di noi. Guai! Mi dispiace per me, quando basto a me stesso. Quando mi sento abbastanza ricco da dire che non ho bisogno di niente e di nessuno, tantomeno di Lui. Autosufficiente, guaio per la vita. Quando mi accontento di una consolazione banale, senza ascoltare la mia povertà. Mi dispiace per me, quando sono sazio e disperato, come disse il cardinal Biffi alla sua amata Bologna; quando non ho più fame di novità, né sete di cambiamento, guaio per la vita. Quando ho spento ogni desiderio, per paura. Mi dispiace per me, quando la mia parola non aiuta ad un Oltre, quando la mia vita diventa un banale quieto vivere. Quando smetto di avere passione e di alzare la testa. Guaio per la vita. Le Beatitudini, dunque, non sono una lezione, ma una consapevolezza che sta donando a ciascuno di noi. Gesù guarda in volto la mia e nostra povertà, la mia e nostra fame, la mia e nostra sofferenza, la mia e nostra ingiustizia. E proprio perché la guarda, la riempie di significato e la trasfigura. Un piccolo esercizio spirituale: accogliere le beatitudini come un volto, come un diario per me e per chi è accanto a me. Un piccolo esercizio spirituale: rimanere nelle Beatitudini, guardarle in volto, non voltare subito pagina. Per la vita del mondo. |