Omelia (16-02-2025) |
don Lucio D'Abbraccio |
In chi o in cosa riponiamo la nostra fiducia? Le letture di questa domenica ci mettono davanti a una scelta fondamentale: in chi poniamo la nostra fiducia? Nel mondo o in Dio? Nella prima Lettura abbiamo ascoltato che il profeta Geremia ci presenta due immagini: da una parte l'uomo che confida in se stesso, paragonato a un arbusto nel deserto, secco e senza vita; dall'altra, chi si affida a Dio, simile a un albero piantato lungo un fiume, con radici profonde che gli permettono di resistere alle avversità. Questa immagine è molto attuale: quante volte costruiamo la nostra vita su sicurezze fragili? Il denaro, il successo, il potere, l'approvazione degli altri sembrano promettere stabilità, ma alla prima difficoltà si rivelano illusioni. Solo chi mette la propria fiducia in Dio ha una radice salda, capace di resistere alle tempeste della vita. San Paolo, infatti, nella seconda Lettura, ci ricorda il fondamento della nostra speranza: la risurrezione di Cristo. Abbiamo ascoltato che l'apostolo delle genti scrive: «se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede». Ma Cristo, continua Paolo, «è risorto dai morti», e con Lui siamo chiamati a risorgere a una vita nuova, una vita che non si basa sui criteri del mondo, ma sulla logica del Regno di Dio. E allora: dove poniamo la nostra sicurezza? Nei beni materiali o nella promessa di Dio? Nella gloria passeggera o nella vita eterna? Nel Vangelo l'evangelista Luca scrive che «Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone. Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli diceva: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo"». Gesù, annota l'evangelista, continua dicendo: «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi». È da notare che rispetto a Matteo, la versione di Luca è più breve e più diretta. Innanzitutto abbiamo ascoltato che Gesù scende in un luogo pianeggiante e si rivolge a una folla di persone stanche, malate, bisognose. Non parla dall'alto di un monte, ma si immerge nella loro realtà. Le sue parole sono dirette e concrete: Gesù non parla in astratto, ma si rivolge ai suoi discepoli, a persone concrete che lo seguono con il desiderio di una vita nuova. Eppure, le sue parole sorprendono e quasi sconvolgono: proclama beati i poveri, gli affamati, i piangenti e i perseguitati, mentre annuncia guai ai ricchi, ai sazi, a chi ride e a chi è lodato da tutti. Se ci fermiamo a una lettura superficiale, queste parole sembrano ingiuste. Perché i poveri sono beati e i ricchi no? Gesù sta forse dicendo che la sofferenza è buona e la felicità è sbagliata? No, non è questa la sua intenzione. Gesù non sta dicendo che la povertà o la sofferenza siano un bene in sé. Gesù non sta facendo un elogio della miseria, ma sta mostrando che Dio capovolge i criteri del mondo. Nel mondo si pensa che la felicità venga dalla ricchezza, dal benessere, dal successo, dalla popolarità. Ma Gesù dice che la vera beatitudine si trova altrove: nell'affidarsi a Dio, nella condivisione, nella compassione, nell'umiltà. Quindi Gesù, quando dice «Guai», vuole mettere in guardia i ricchi, i sazi, quelli che ridono e quelli che ricevono lodi. Non perché la ricchezza, la gioia o l'apprezzamento degli altri siano sbagliati in sé, ma perché possono diventare una trappola. Il rischio è quello di sentirsi autosufficienti, di chiudersi nel proprio benessere senza più bisogno di Dio e degli altri. Quando la ricchezza diventa un idolo, quando la ricerca del piacere diventa egoismo, quando la voglia di essere lodati ci fa dimenticare la verità, allora perdiamo di vista ciò che conta davvero. Pensiamo al giovane ricco del Vangelo: aveva tutto, ma il cuore era legato ai beni. Gesù gli chiese di svuotarsi per riempirsi di Lui. Conosciamo molto bene quale fu il comportamento del giovane ricco. Le Beatitudini, allora, non sono solo parole belle, non sono solo una promessa per il futuro, ma una realtà che può iniziare già oggi. Chi vive con cuore semplice, chi non si aggrappa alle cose materiali, chi sa piangere con chi piange e chi è disposto a soffrire per il bene è già sulla via della vera felicità. Essere discepoli di Gesù, dunque, significa accogliere la sua logica paradossale: perdere per trovare, servire per essere grandi, donare per ricevere. Chiediamo oggi al Signore la grazia di essere come quell'albero piantato lungo il fiume: radicati in Dio, capaci di resistere alle prove della vita, e portatori di frutti di amore e giustizia. Confidiamo in Lui perché, come più volte abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale: «Beato l'uomo che confida nel Signore». Che la Vergine Maria ci aiuti a confidare sempre nel Signore e a vivere secondo lo spirito delle beatitudini proclamate dal suo Figlio Gesù Cristo, nostra speranza, nostra gioia e nostro Salvatore. Amen! |