Omelia (01-03-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il cuore e non le vesti Il profeta Gioele rivolge a tutti un invito significativo che non può non attirare la nostra attenzione, in questo giorno in cui solennemente iniziamo la quaresima: "Laceratevi il cuore, non le vesti". La circostanza triste e penosa di una recente invasione di cavallette che ha distrutto tutti i raccolti induce infatti il profeta ad esortare alla conversione a Dio, alla fuga dalle proprie presunzioni e dalle esasperate autoaffermzioni, alla rinuncia al peccato e ad ogni sorta di malignità per porsi alla sequela di Chi, solo, è in grado di garantire la gioia e la salvezza del popolo. Il linguaggio è abbastanza categorico e a volte anche minatorio e intriso di non pochi rilievi apocalittici e disfattisti, ma l'espressione suddetta, come anche l'implicito contenuto del Capitolo, sottolinea che il ritorno a Dio non deve essere condizionato dal timore delle pene o da una possibile manifestazione di rivalza da parte Sua quanto piuttosto dalla convinzione nonché consapevolezza di fondo che solo in Dio vi è possibilità di salvezza e che ogni obiettivo e traguardo, ancjhe minimi, vanno perseguiti non senza coltivare la speranza in lui. Mentre procede forte delle sue presunte e gratuite certezze, l'uomo non fa' che brancolare nel buio della propria illusione destinata a diventare delusione e non può non confondersi nella morsa dello smarrimento e dell'inquietitudine; lontano da Dio, l'uomo potrà anche avere successo e affermazioni personali e magari anche autoaffermarsi sulla massa e dominare perfino tutto il cosmo, ma non tarderà ad accorgersi di aver raggiunto un esito solamente momentaneo e fugace che nulla gli avrà lasciato se non il vuoto delle delusioni e delle sconfitte che in questo caso egli stesso si sarà procurato. Lontano da Dio, l'uomo perde la propria identità e si aliena perfino da se stesso e di conseguenza perde il giusto orientamento verso gli altri. Qualora dovesse sembrare che stiamo solo facendo digressioni spirituali prive di consistenza pratica, ebbene che l'uomo privo di Dio possa smarrirsi è facilmente dimostrato in tutte quelle situazioni di miseria materiale e morale che prendono il nome di droga, esaltazione del sesso, disperazione, suicidi, violenza... tutti ricorsi che in fondo sono solo conseguenza di un successo solo apparente al quele ci si è ingenuamente consacrati nella vana speranza di procacciare la panacea o la pietra filosofale che soddisfi tutte le pene ed esalti lo spirito verso orizzonti inesistenti... Ma come potranno simili scelte di vita garantire la felicità e la salvezza? Non procurano piuttosto vani autolesionismi legati a conseguenti disordini sociali? Perché molta gente si affanna su cose che essa stessa riconosce illecite e assurde? Cantava Gaber: "Le cose giuste tu le sai, dimmi perché tu non le fai?" Perché, infatti, non ci si impegna a costruire tutti quanti quello che noi stessi riconosciamo essere conveniente e migliore per la vita dell'uomo e del mondo? Per quanto possano essere numerose le risposte a tali interrogativi, esse convergeranno senza dubbio nella soluzione che non si è ancora instaurata la convinzione di Dio quale unica ancora di salvezza e somma di tutte le possibilità dell'uomo; ma soprattutto non ci si è convinti dell'amore di Dio verso l'uomo e del valore della conversione a lui. E' necessario quindi correre ai ripari e -come suggerisce Paolo nella II Lettura- lasciarci riconciliare da lui, lasciare cioè che Egli agisca in noi per plasmarci e di conseguienza optare per lui nell'abbandono del peccato, il che è determinate in ogni istante della nostra vita e quindi in qualsiasi periodo liturgico dell'anno, ma è specialmente a partire da oggi che noi siamo spronati a scoprire la grandezza e il valore della conversione per tornare a quanto all'origine è il bene di noi stessi: inizieremo innanzitutto con il riconoscere il nostro stato di piccolezza davanti a Dio che ci assimila alla polvere, anzi, alla cenere e di conseguenz a sperimentare l'amore divino nei nostri riguardi attraverso la rinuncia e la mortificazione simboleggiata dal digiuno e dalla penitenza per dischiudrerci a Dio che è presete nel prossimo attraverso opere di carità fraterna... La Quaresima è insomma il tempo propizio per lacerare il cuore, ossia per fare la scelta radicale di Dio non già nella limitatezza delle sole pratiche esteriori, bensì interpellando tutti noi stessi, con radicalità, decisione e fermezza, forti della certezza che solo Lui ci ama. E questo non potrà che condurci alla gioa della Pasqua. |