Omelia (21-03-2025)
Missionari della Via


Il Vangelo di oggi ci pone una domanda: di chi è la nostra vita? A chi appartiene? La vita è nostra nel senso che è affidata a noi, ma nessuno si è dato la vita da solo, nessuno ha chiesto di venire alla luce, ognuno di noi l'ha ricevuta in dono. Di conseguenza, se la nostra vita è un dono, tutto il resto non è possesso ma sempre dono. Gli operai della vigna di cui si parla nel Vangelo non compresero ciò e impossessandosene, invece di fare il bene compirono il male. Ognuno di noi ha la responsabilità di ciò che gli è stato donato; ogni dono non è per averne un possesso ma perché sia a servizio degli altri. Noi tendiamo ad impossessarci di tutto: la nostra stessa vita, le persone, le cose, il creato, senza pensare che siamo chiamati a responsabilità perché tutto ciò che ci è stato affidato sia reso migliore di come ci è stato donato, cosicché quanti lo erediteranno possano dire: "che bello ciò che ci ha lasciato la generazione precedente!". Quando Gesù ci ricorda che la vita non è nostra ma "in comodato d'uso", e questo comodato d'uso prima o poi finirà, non lo fa per metterci paura ma per chiamarci a responsabilità, per dirci che noi siamo stati chiamati a fare grandi cose; che la nostra vita è bella, è preziosa ed è utile quando è messa a servizio del bene degli altri. Il Signore Gesù si è fidato di noi, e proprio per questo giungerà il giorno in cui ci chiederà i frutti, ci chiederà conto della nostra vita, di ciò che ne abbiamo fatto. «Chi ha vissuto per se stesso vede Dio come un usurpatore di libertà, ma chi ha vissuto nella logica dell'amore non ha paura di riconsegnare ciò che gli era stato affidato» (don Luigi M. Epicoco). Ora domandiamoci: oggi ho posseduto, ho poltrito o ho donato? E che cosa ho donato? A chi mi sono fatto dono?