Omelia (05-03-2006) |
don Fulvio Bertellini |
Alle origini della missione La permanenza di Gesù nel deserto appare come la prosecuzione immediata dell'episodio del battesimo e ci sarebbero buone ragioni per collegare strettamente i due episodi. Lo Spirito che si è manifestato sotto forma di colomba si rivela ora come forza devastante che, letteralmente, "scaglia" Gesù nel deserto. Il Messia che ha mostrato la sua solidarietà con i peccatori ripercorre le tappe del popolo di Israele, e prima di attraversare il Giordano (come il nuovo Giosuè, destinato a prendere possesso della terra promessa) trascorre quaranta giorni nel deserto, che corrispondono ai quarant'anni dell'Esodo. Battesimo e tentazione nel deserto aprono il ministero pubblico di Gesù, precedono la sua azione, ne definiscono da subito l'identità. Il deserto e la prova Lo stesso accadeva nel libro dell'Esodo: si tratta dell'esperienza fondativa di Israele, che lo costituisce come popolo. I profeti paragonano il tempo del deserto al tempo del fidanzamento: quel periodo intermedio in cui il legame viene messo alla prova e consolidato, prima di diventare legame matrimoniale indissolubile. L'Esodo è nello stesso tempo fidanzamento e matrimonio, prova di una relazione e instaurarsi della relazione: sul Sinai l'Alleanza è compiuta, e Dio sceglie di abitare in mezzo al suo popolo. Il tema della prova o della tentazione è un tema centrale: Dio mette alla prova il popolo, il popolo a sua volta mette alla prova Dio, con una tensione drammatica che cresce progressivamente, senza trovare una vera e propria soluzione. Se guardiamo a tutta l'esperienza di Israele nel deserto, prima di giungere alla terra promessa, giungiamo ad una sconcertante conclusione: Israele non ha superato la prova, è rimasto prigioniero della tentazione, popolo dalla dura cervice, incapace di fidarsi fino in fondo di Dio, sempre bisognoso di conferme. Eppure Dio conclude con il popolo la sua alleanza irrevocabile. Si fida di Israele, anche se Israele non è in grado di affidarsi completamente a Dio. Tentazione permanente L'evangelista Marco, secondo il suo stile, non riprende tutta la complessa tematica della prova e della tentazione nell'Esodo, che resta sullo sfondo, per un livello di lettura ulteriore, accessibile solo a pochi. A lui bastano poche parole: deserto, tentazione, satana, bestie selvatiche, angeli. Ci invita così a riflettere a partire dai dati bruti, liberandoci dalle troppe parole, dai troppi concetti. E nello stesso tempo apre ad una riflessione approfondita: più fresca però, e sfrondata dai condizionamenti. Si dice unicamente che Gesù è tentato. Non si dice come, non si dice con che risultato. Il risultato lo intuiamo dal fatto che Gesù sta con le fiere, servito dagli angeli: è tornato nella condizione paradisiaca. A ben vedere, una strana situazione paradisiaca, in cui la tentazione è un fatto permanente, e la vita agiata, la relazione con i fratelli, completamente assente. Che senso ha tutto questo? Perché questa perdita di tempo di quaranta giorni di esercizio che ci sembra solo masochistico e autoflagellatorio? Forse era proprio questa la domanda del tentatore... Ritrovare l'essenziale Il punto di partenza per Gesù è la relazione con il Padre. Non è la solidarietà per i poveri, non è neppure la fraternità nei confronti del suo popolo. Nel deserto vediamo questo: Gesù obbediente al Padre, completamente disponibile all'azione dello Spirito. E' già sufficiente per vivere. E' l'essenziale irrinunciabile. Attorno a questo nucleo può cominciare a coagularsi un angolo di paradiso: si ritrova la pace tra il cielo e la terra, il mondo terreno e quello divino (animali e angeli). E qual è la tentazione? Arrischio una risposta: la tentazione è quella di partire subito. Di lanciarsi subito nella missione, nell'annuncio del Regno. Di trovare un senso solo nel fare qualcosa di "utile" per qualcun altro. Di non mettere Dio al primo posto. Resistendo alla tentazione, Gesù ci mostra una prima, importante via per la nostra Quaresima: riscoprire la relazione con Dio. Prima di ogni altro rapporto e legame. Altrimenti diventiamo noi stessi i tentatori. Coloro che contestano Dio, che rifiutano la propria identità di figli. Che pretendono di realizzarsi senza di lui e all'infuori di lui. Per questo la preghiera è l'azione più sconvolgente e rivoluzionaria: perché ristabilendo il primato di Dio, ci libera da ogni altro condizionamento e catena. Flash sulla I lettura "Io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi". Il racconto del diluvio ci presenta il rinnovamento della creazione, minacciata dal peccato e dalla violenza umana. Un nuovo mondo risorge dalle acque caotiche, lasciate per un tempo determinato libere di invadere e sommergere il mondo. Non si tratta tuttavia del rinnovamento radicale e definitivo, ma di una sua prefigurazione. Il problema di partenza, la corruzione del mondo ad opera dell'uomo peccatore, resta senza una vera e propria soluzione. Cambia però l'atteggiamento di Dio, che stabilisce la sua alleanza con la terra e con ogni essere vivente, impegnandosi a non distruggere più il mondo creato. "Il mio arco pongo sulle nubi": si tratta dell'arcobaleno, fenomeno naturale di cui oggi conosciamo scientificamente il meccanismo di formazione, basato sulle leggi della rifrazione della luce. Per l'uomo biblico esso è il segno dell'alleanza tra Dio e la terra. Possiamo anche sorridere del linguaggio mitico con la Bibbia si esprime, conforme alla mentalità del suo tempo. Non si tratta però di una fiaba per bambini, ma dell'unico linguaggio a disposizione per esprimere il mistero di un mondo in certi suoi aspetti malvagio e incomprensibile, eppure amato da Dio. Quando noi, di fronte alle guerre, alle violenze, alle ingiustizie, invochiamo la punizione divina automatica e sistematica contro tutti i cattivi, non ci rendiamo conto che ciò equivarrebbe ad un nuovo diluvio universale. Senza peraltro sapere se avremmo diritto a entrare nell'arca... Il modo con cui Dio sceglie di trasformare il mondo e la condizione dell'uomo è un altro: Gesù, che si fa uomo, che entra a far parte della storia, che subisce la tentazione e la sofferenza, che si immette nella nostra vita come seme di speranza. Disposto a morire per dare frutto. Flash sulla II lettura Nella lettera di Pietro la "figura" del diluvio vivene decifrata, decodificata, risolta. Il diluvio infatti è inefficace dal punto di vista della salvezza: i discendenti di Noè sono anch'essi segnati dal peccato, e tutta la storia successiva lo dimostra esaurientemente. Il racconto del diluvio pone una domanda: se non è la distruzione che può rinnovare il mondo, eliminando i peccatori, come potrà avvenire la salvezza? La risposta è trovata nella croce di Cristo: non distruggendo il peccatore, ma distruggendo il peccato, non eliminando il colpevole, ma trasformandolo. Gesù, messo a morte nella carne, è abilitato a raggiungere ogni uomo: "morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio". Gesù, crocifisso e risorto, non subisce nessuna limitazione nel ricondurre al Padre: "in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione". "Figura del battesimo che ora salva voi": il nostro accesso alla salvezza di Cristo è il battesimo; nel battesimo entriamo in contatto con la sua opera di rinnovamento e trasformazione, che ci tocca nel profondo del nostro essere. Perché allora è così difficile vivere da battezzati? Perché sembra che il peccato continui a invadere la nostra vita? Pietro lo definisce "invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza": la vita battesimale non è una rendita di posizione, ma è permanentemente "invocazione di salvezza", da parte di una coscienza che è divenuta "buona", ma ancora sottoposta, nel pellegrinaggio della vita, alla fragilità e alla tentazione. |